Il ritardo (colpevole) dell’Ue sul nucleare

Usa e Regno Unito sono pronte a cooperare sull'energia nucleare, mentre l'Ue non ha ancora una strategia in merito

La visita di Stato del Presidente Usa Donald Trump in Gran Bretagna è iniziata ieri nel clima di incertezza che contraddistingue ormai ogni momento della vita internazionale. Ma un risultato è già acquisito in una relazione che fra Londra e Washington non cessa di essere “speciale” ottant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale.



Si chiama “Atlantic Partnership for Advanced Nuclear Energy” il protocollo più importante che attende solo la firma di Trump e del Premier Keir Starmer. L’intesa energetica si prefigge di dimezzare da quattro a due anni i tempi di entrata in funzione di nuovi impianti nucleari per uso civile, per sostenere l’offerta energetica sia per le famiglie che per le imprese.



Il cuore della partnership è la condivisione dei processi autorizzativi: se un reattore ha ottenuto le certificazioni di sicurezza in uno dei due Paesi potrà operare anche nell’altro. E questo varrà sia per gli impianti “classici” di nuova generazione (i cosiddetti SME, raffreddati ad acqua), sia per quelli di frontiera tecnologica (AME) raffreddati a gas e già oggetto di competizione diretta con la Cina.

L’accelerazione sul nucleare impressa dal Governo laburista in asse con l’Amministrazione Trump non sembra così distante dalla bollente attualità politica britannica: caratterizzata da un’escalation di piazza delle destre populiste, che si richiamano apertamente al trumpismo.



L’esteso malessere sociopolitico nel Regno Unito ha evidenti radici economiche: l’ex Premier laburista Gordon Brown ha denunciato nei giorni scorsi che una parte crescente della popolazione rischia di precipitare in una “povertà dickensiana”. L’inflazione energetica – che ha colpito Londra più di altri Paesi Ue – è al centro della crisi. E all’atto concreto neppure un Governo laburista di un Paese geloso della sua indipendenza globale vede in questa fase alternative a una partnership nucleare con gli Usa: anche in funzione competitiva con la Cina.

Se al di là della Manica sembrano dunque fatti in rapido compimento sia la frenata sulla transizione verde, sia una strategia nucleare più decisa, l’Ue resta in mezzo al guado: come ha denunciato giusto ieri l’ex Premier italiano Mario Draghi, facendo il punto sullo sviluppo del suo Rapporto, alla presenza della Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.

L’avvento a Berlino del Cancelliere Friederich Merz è parso predire la caduta di antiche pregiudiziali verdi tedesche sul rilancio del nucleare in Europa. E la stessa resilienza del Presidente Emmanuel Macron a Parigi poggia su un grosso vantaggio competitivo della Francia: unico fra i Ventisette a disporre già sia di impianti nucleari “puliti”, sia di armamenti atomici. Quanto all’Italia – terzo grande Paese fondatore dell’Ue – l’orientamento pro-nucleare del Governo Meloni è definito e noto: anche a valere sul ruolo dei giganti energetici basati nel Paese.

Non si vedono dunque ragioni perché l’Ue tardi ancora a rendere operativa una nuova strategia nucleare: civile e quindi anche militare, nell’ambito di un processo ricostruttivo di un sistema di difesa comunitario, all’interno della Nato. Sarebbe invece grave se il macro-dossier nucleare finisse impantanato in un gioco di pura speculazione partitica: anzitutto in un Parlamento europeo sempre più polarizzato.

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