Pubblichiamo il capitolo scritto da Giorgio Vittadini nel libro "In dialogo con Cristo. La lezione di don Camillo", a cura di Egidio Bandini
Nei racconti di Giovannino Guareschi, Mondo piccolo, i dialoghi tra don Camillo e il Cristo crocifisso che si staglia sull’altare della sua parrocchia possono sembrare ai più solo un colpo di teatro particolarmente riuscito. Contengono in realtà un profondo e attuale insegnamento.
Gli anni Cinquanta sono stati un periodo di rigide militanze ideologiche che si contrapponevamo. L’Italia, Paese di frontiera, divisa tra comunisti e cattolici, ne era l’emblema.
Per i credenti i riferimenti erano: l’adesione ai dogmi proclamati nel Credo, l’obbedienza alla gerarchia e al Papa anche nelle scelte politiche, la ricerca di una coerenza morale che permeava anche la mentalità di chi cattolico non era.
Ma, come si accorse in modo profetico tra gli altri don Giussani, tutto ciò non poteva bastare. Mancava nei più un’esperienza di fede come corrispondenza tra la realtà e le esigenze personali di verità, giustizia, bellezza. Di conseguenza per i cristiani era difficile percepire personalmente come la presenza di Cristo fosse reale, incontrabile nella comunità cristiana e nella realtà quotidiana e come rispondesse alle esigenze personali fondamentali. Il crollo verticale nell’adesione alla fede cristiana avvenuto dopo il ’68 lo dimostra ampiamente. Guareschi, in controtendenza, fa del dialogo continuo e personale con il Cristo la radice stessa della personalità di don Camillo.
Don Camillo obbedisce ai suoi superiori ecclesiastici, ma non può fare a meno di paragonare tutto quel che sente e tutto quel che gli capita con questa misteriosa Presenza. Così scopre che Gesù non è un’idea, un’astrazione, ma è una Presenza reale, il compagno, l’amico, l’autorità vera che lo accompagna, lo conforta, lo corregge.
Come il bambino protagonista del film “Marcellino pane e vino“, don Camillo Gli parla, si sfoga, lo interroga, discute, quasi litiga per – infine – accettare ogni correzione. Non parla a un Dio astratto, non si appoggia alle vaghe intuizioni suscitate da un pensiero. Dialoga con il Cristo attraverso un segno reale, quel crocifisso, come san Francesco faceva con il crocifisso di San Damiano ad Assisi.
Per questo don Camillo può rinunciare a tutto, ma non può privarsi di quel segno. E così intraprende una volontaria via crucis, con la croce sulle spalle, lungo sette chilometri in salita, sotto la neve, di notte, per arrivare alla parrocchia in cui era stato esiliato.
E il Cristo risponde al suo amico Camillo in un modo antico e moderno allo stesso tempo. Non è mai definitorio, assertivo, distante: corregge il suo parroco con elegante ironia, spingendolo a riaprirsi verso tutti, anche i suoi nemici, a perdonare le offese, a superare le ideologie non solo di partito, a usare misericordia, a cercare in ogni circostanza l’ipotesi positiva, a riaprirsi alla speranza.
Così, Guareschi, nelle ultime pagine dei racconti di “Mondo piccolo”, suggerisce a un don Camillo spaventato di ricominciare, di ripartire, invitandolo a non stancarsi di piantare e curare il seme, cioè la fede.
Guareschi afferma che questo Cristo è il Cristo della sua coscienza. I dialoghi non sono una riduzione intimistica della fede, ma la condizione per accorgersi della presenza viva e reale di Chi “abita in mezzo a noi”. Solo per questo dialogo intimo don Camillo conosce “l’odore delle sue pecore”, come disse papa Francesco al raduno della Chiesa italiana a Firenze.
Solo per questo dialogo interiore connesso alla vita reale don Camillo può dare speranza e fiducia a quel suo Mondo piccolo, metafora della gente di tutto il mondo. Il dialogo di don Camillo con il Cristo è il cuore di tutto ciò che avviene in Mondo piccolo. Riapre don Camillo al confronto, persino all’amicizia con Peppone e i suoi, lo abilita alla costruzione del bene comune del Paese, qualunque sia ciò che può dividere. Lo fa sentire responsabile della vita e di tutti. Non solo per le questioni di culto, ma anche per il lavoro, la povertà, le malattie, gli atti di violenza, i bisogni più nascosti delle persone apparentemente più insignificanti.
Il dialogo con la verità profonda che è in noi permette di non ridurre la vita personale, sociale, politica all’appartenenza a schieramenti contrapposti, aiuta a non affidarci a uomini soli al comando rimanendo fondamentalmente soli e incapaci di costruire il bene comune e la pace.
In un mondo in cui nessuno ascolta più l’altro a livello familiare, sociale, nazionale, internazionale, il dialogo tra il Cristo e don Camillo franco, vero, profondo, pieno di sguardo positivo e di correzione è il paradigma di ogni rapporto tra persone.
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