I costi delle case sono un problema anche in Italia. Per questo si sta ragionando su una misura che possa alleviarlo

I socialisti francesi stanno pretendendo una patrimoniale del 2% sulle ricchezze superiori ai 100 milioni di euro come condizione per appoggiare il premier designato Sebastien Lecornu, probabile ultima spiaggia del Presidente Emmanuel Macron.

La cosiddetta “tassa Zucman” sembra peraltro poggiare ancora su pregiudiziali ideologiche novecentesche: in cui la leva fiscale verrebbe azionata in via elementare per tappare un buco finanziario incompatibile con i parametri Ue ma anche per infliggere una “punizione di classe”, a polarizzare ancor di più la società transalpina. Forse anche per questo a Parigi sono numerosi gli scettici sulla nascita di una “maggioranza Zucman” fra campo macroniano e sinistra moderata.



A New York, intanto, il candidato sindaco dem Zohran Mamdani continua a non dare priorità a rialzi (possibili) delle tasse municipali, magari pregiudizialmente mirati sui più ricchi fra gli 8,5 milioni di abitanti della Grande Mela.

A sei settimane dal voto Mamdani – che negli Usa è definito “socialista” e collocato all’estrema sinistra quasi come Jean Luc Melenchon in Francia – mantiene invece in cima alla sua triade programmatica il blocco dei canoni d’affitto (gli altri due impegni forti riguardano i trasporti locali gratuiti e la costruzione di super-store comunali per calmierare i prezzi dei generi di prima necessità).



Il tetto agli affitti – i cui margini di crescita vengono stabiliti annualmente dal Consiglio comunale – è la questione più calda: perché configura una sorta di “sovrattassa/patrimoniale indiretta” sui proprietari grandi e piccoli, in un mercato immobiliare che resta una delle “grandi industrie” newyorchesi. Al posto di un inasprimento fiscale tradizionale e indifferenziato (prelievo per cassa su patrimoni e redditi, indirizzato a finanziare la spesa municipale) Mamdani contrappone dunque una sorta di “politica cittadina dei redditi”, eliminando l’intermediazione finanziaria diretta del municipio fra “ricchi” e “non ricchi”.



Il candidato dem chiede ai primi di contenere gli affitti – sopportando anche una minor rivalutazione di breve periodo delle unità locate, dopo decenni di boom – con un beneficio immediato e visibile per gli affittuari (la stessa logica ha il progetto dei mega-spacci-comunali: che non intendono sostituire il commercio privato ma frenarne le derive inflazionistiche di natura speculativa che stanno rendendo “no more affordable” la vita a New York).

La scommessa politica finale è il rilancio completo – con tutti i suoi cittadini a bordo, richiamandone semmai di nuovi – di una metropoli che non si è ancora ripresa dalle diverse mazzate vibrate dal Covid e poi dalla crisi geopolitica. E a oggi i polls continuano a dare a Mamdani chance reali di confermare al voto il clamoroso successo nelle primarie dem metropolitane: alle quali ha raccolto il consenso di aree e fasce di residenti “non poveri” (con redditi anche ben superiori agli 81mila dollari della media per unità familiare a New York).

Giovani “professionals” che – al netto di ogni antipatia per per il Presidente newyorchese Donald Trump – hanno problemi d’affitto sempre più seri a Manhattan e per i quali sarebbe invece una beffa finire nelle maglie di qualche sovrattassa straordinaria a tappeto.

Quando in Italia il cantiere del budget statale 2026 è ormai aperto, il vicepremier Matteo Salvini – ministro delle Infrastrutture – ha intanto lanciato l’ipotesi di una sorta di “tassa di scopo” che verrebbe applicata agli utili delle grandi banche e andrebbe a finanziare un nuovo piano casa nazionale. È un’idea che d’acchito può ricordare la “tassa Zucman”, ma che appare invece più vicina alla strategia di “fiscalità reale di sviluppo” privilegiata di Mamdani.

Che il sistema bancario stia concludendo un nuovo esercizio caratterizzato da profitti record è certificato dalle comunicazioni ufficiali: a fine anno il monte-utili del settore è atteso superiore ai 45 miliardi di euro. È il quarto anno consecutivo in cui i margini bancari – soprattutto dei grandi intermediari – hanno beneficiato in pieno del rialzo dei tassi deciso dalle Banche centrali per contrastare l’inflazione importata dalla guerra russo-ucraina.

Le banche – non da sole fra i grandi gruppi – sono state fra le vincitrici oggettive di una partita che invece ha pesato sui cittadini in molti modi: perdita di potere d’acquisto del reddito, remunerazione nulla o bassa o volatile per risparmi nel frattempo svalutati; non da ultimo accesso più costoso ai mutui per acquistare case dai prezzi in rialzo.

Non solo per queste ragioni, sembra difficile negare logica politica, economica e sociale all’ipotesi di un contributo dal fronte bancario a un piano di costruzione di case nuove che avrebbe forte profilo di “social housing”: indirizzato anzitutto agli italiani più giovani (studenti junior o advanced, debuttanti su un mercato del lavoro sempre più mobile; nuovi nuclei familiari che – almeno sulla carta – sono fra le prime attenzioni del Governo).

Come nel “programma Mamdani” – non necessariamente la “restituzione” di qualche miliardo dal sistema bancario sotto forma di nuove case deve transitare per un rozzo prelievo fiscale diretto. La Cassa depositi e prestiti, ad esempio, ha già nel suo portafoglio di fondi strategici alcuni veicoli orientati al social housing. E non sarebbe una novità se il sistema finanziario nazionale (banche, compagnie assicurative e Fondazioni) si associasse alla Cdp per promuovere politiche infrastrutturali con strumenti di mercato e logiche d’investimento pubblico & privato.

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