L’appello dei vescovi italiani sulle aree interne chiama la politica ad una svolta su un concetto di integrazione socioeconomica più innovativa

Non sta passando inosservato l’appello di 135 vescovi italiani al Governo e al Parlamento per il rilancio delle cosiddette “aree interne” del Paese: quelle più a rischio di spopolamento (migratorio e demografico) e abbandono socioeconomico.

L’iniziativa è maturata nei giorni in cui – anche attorno al Meeting di Rimini, che ha visto la partecipazione del presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi – si è registrata una ripresa d’interesse e confronto attorno al contributo dei cattolici italiani all’orientamento delle grandi scelte di governo del Paese.



Lo stimolo dei presuli italiani – soprattutto di quelli delle diocesi del Centro-Sud – si innesta in un’attenzione consolidata della Chiesa nazionale, quella per l’accoglienza dei migranti e per il loro inserimento quanto più rapido e positivo nella comunità civile italiana.

Appare innovativo, nondimeno, uno sguardo più ampio e aggiornato, posato tout court sulle opportunità – non meno che sui problemi – posti dalle aree interne italiane a tutti gli abitanti del Paese. Una visione-sollecitazione che abbraccia sia nuovi “candidati cittadini”, sia gli italiani che incontrano via via più fatica ad abitare luoghi della penisola che spesso hanno fatto da casa a molte generazioni precedenti.



Nella prospettiva dei vescovi tutti tendono a diventare protagonisti attesi di un percorso unico di sviluppo umano e civile. In questo sembra evolvere la nozione stessa di “migrante economico”: non più solo uomo in fuga da povertà e sottosviluppo, ma portatore di risorse ed esperienze personali potenzialmente utili al rilancio di comunità italiane in crisi di sviluppo.

Fonte: Pexels.com

È un’angolatura che su questa finestra del Sussidiario è stata volte proposta su un altro versante critico: il supporto attivo ai Neet, più in generale ai giovani in cerca di lavoro (che restano molti, al di là degli ultimi, brillanti dati sull’occupazione).



I flussi migratori – nella premessa indiscutibile che siano gestiti e regolarizzati – non sono necessariamente un fattore problematico per politiche scuola-lavoro mirate e potenziate (lo sarebbero potute essere con l’utilizzo dei fondi Pnrr). Possono invece spingere a soluzioni integrate di una sfida in fondo unica: l’integrazione socioeconomica –  e quindi civile – di persone che vivono un’età eguale, una condizione di difficoltà eguale e dispongono di potenzialità comparabili di partecipazione attiva alla vita economica e sociale del Paese.

La scommessa di creare “plusvalore umano” in politiche socioeconomiche rivolte congiuntamente a Neet e giovani immigrati è la stessa di far “reagire” giovani immigrati in aree interne in cui possono avere più libertà di realizzare i propri talenti (nel lavoro o addirittura nell’impresa), in una peculiare forma di sussidiarietà economica.

 

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