5 ANNI PER TORNARE AL PIL PRE-COVID/ Fortis: a rischio 1 milione di occupati

- int. Marco Fortis

Continuano ad arrivare dati e stime poco rassicuranti per l'economia. L'inazione del Governo rischia di costare Pil e lavoro

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Continuano ad arrivare dati e stime poco rassicuranti per l’economia europea e italiana. Secondo il Fondo monetario internazionale, infatti, il Pil dell’Ue quest’anno scenderà del 9,3% per poi risalire del 5,7% nel 2021. Di fatto però si tornerà ai livelli pre-Covid solamente nel 2022. Per Prometiea, però, in Italia, dove quest’anno il Pil scenderà del 10,1%, il recupero si avrà solamente nel 2025. Marco Fortis, Direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, si dice convinto «che l’Italia abbia degli straordinari punti di forza, ma ora se ne sta abusando con un’inazione politica che di fronte a una catastrofe economica come quella causata dal Covid-19 non può comportarsi come ai tempi in cui si facevano dibattiti per mesi e mesi prima di prendere decisioni. Ora occorrono scelte urgenti».

I dati di Fmi e Prometeia sembrano dirci che ci sarà una diversa velocità di ripartenza tra i diversi Paesi europei.

Non dobbiamo dimenticare che le stime del Fmi comprendono anche Paesi dell’Est che avevano dinamiche di crescita pre-Covid più alte rispetto ad altri Paesi come Germania e Francia, che negli ultimi anni non hanno avuto performance tanto migliori rispetto all’Italia. Pur dovendo fare i conti con il Patto di stabilità, siamo riusciti a giocarci tutte le carte di politica economica, contenendo il deficit, stabilizzando il debito e destinando le poche risorse concessesi con la flessibilità allo stimolo dei consumi con gli 80 euro in busta paga, degli investimenti con Industria 4.0 e dell’occupazione con le decontribuzioni. In questo modo ci eravamo riavvicinati ai tassi di crescita di Francia e Germania.

Non possiamo utilizzare quelle stesse carte di politica economica per far ripartire il Pil?

In questo momento non è più possibile fare una politica aggressiva di impatto immediato né sugli investimenti privati, né sui consumi. Bisogna quindi agire tramite gli investimenti pubblici. Il Patto di stabilità è stato sospeso, l’Europa si sta dimostrando relativamente benigna, perché ci ha messo a disposizione una serie di strumenti da utilizzare con cui possiamo intervenire sulla sanità, tramite il Mes, e stimolare l’economia usando le risorse del Recovery fund in modo che non si trasformino in nuovo debito. Con il deficit che aumenta per misure assistenziali come la Cig, non possiamo rimanere, per usare un’immagine ciclistica, in situazione di esasperato surplace, alla Bianchetto e Beghetto, altrimenti non ne veniamo fuori più.

Ritiene quindi che verranno superate le resistenze dei Paesi frugali sul Recovery fund nel corso del Consiglio europeo di questo fine settimana?

Credo che questi quattro Paesi dovranno alla fine piegarsi, anche perché la Merkel non può certo permettersi di distruggere il mercato europeo per accontentarli. In questo momento, quindi, l’Italia gode di un contesto esterno relativamente favorevole e deve quindi mettersi di buzzo buono per mettere in campo riforme importanti, soprattutto nella Pa, perché la produttività in questi ultimi anni è cresciuta solo nella manifattura. Non dobbiamo meravigliarci che Prometeia dica che ci vorranno 5 anni per tornare ai livelli pre-Covid, perché descrive uno scenario in assenza di interventi strutturali di riforma. Il Governo per prima cosa deve far partire le opere pubbliche.

Proprio per questo l’esecutivo ha approvato settimana scorsa il Decreto semplificazioni. Cosa ne pensa?

Non si può che dare un giudizio positivo riguardo l’obiettivo di semplificare, ma ora occorrerà vedere se queste linee si tradurranno operativamente in risultati concreti. È bene che ci si riesca, perché il dato del Fmi sul Pil europeo ci dice che non potremo contare su uno stimolo della domanda intracomunitaria, senza dimenticare che l’economia mondiale extra-Ue è ancora fortemente in difficoltà e permangono tensioni commerciali tra Cina e Usa. È un momento in cui non possiamo quindi sperare nella domanda estera. Io resto convinto che le imprese manifatturiere riusciranno a tenere duro e a fare meglio di quelle francesi e tedesche quando ripartirà la domanda. Mai come in questo momento la mano pubblica italiana deve dimostrare di essere all’altezza della situazione. Lo Stato deve darsi una mossa, deve sapere come utilizzare le risorse che arriveranno dall’Europa in modo da far crescere il Pil e tenere a bada il rapporto debito/Pil.

Anche perché si sta già cominciando a parlare di ritorno in vigore delle regole del Patto di stabilità ora sospeso.

Esatto. Il problema è che il debito/Pil si può mantenere sotto controllo solo se il denominatore cresce più del numeratore. Ma se si fanno solo dichiarazioni, se si semplifica ma poi non si sblocca, il Pil non riparte. Non dobbiamo poi dimenticare che andiamo incontro a un autunno in cui ci sarà una perdita di occupati. Tra maggio dell’anno scorso e maggio di quest’anno ne abbiamo persi circa 600.000. Considerando l’operatività della Cig e il blocco dei licenziamenti, si è trattato principalmente di lavoratori indipendenti o a tempo determinato. Ma ora c’è il rischio per gli altri: la perdita potrebbe arrivare a un milione di posti.

In queste ore il Governo è chiamato a prendere una decisione sul dossier autostrade. Secondo lei, cosa si dovrebbe fare?

Non so come si possa architettare una soluzione, ma è chiaro che bisogna muoversi con prudenza per evitare danni incalcolabili per quanti sono esposti con Autostrade per l’Italia e Atlantia, tramite obbligazioni e prestiti, e anche per scongiurare una paralisi in Liguria e intorno a Genova: non credo che la situazione migliorerebbe con una prova di forza soltanto per far vedere che si sono voluti punire i Benetton. Credo che oltre al decreto semplificazioni ci vorrebbe un decreto d’urgenza per sbloccare la situazione in Liguria. I retaggi dei 5 Stelle negli ultimi due anni non hanno portato alcun risultato positivo per l’economia e la società e ora rischiamo anche di fornire agli investitori stranieri la dimostrazione di essere un Paese dove manca certezza del diritto e le regole si cambiano in continuazione. Non sarebbe un bel segnale.

(Lorenzo Torrisi)





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