ALITALIA/ Le alternative a ITA dimenticate dal Governo

- Gianni Rossi

Piuttosto che analizzare una serie di opzioni industriali di "discontinuità" coerenti con un contesto post-pandemico, per il futuro di Alitalia si è scelto il mero ridimensionamento

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Il tema della discontinuità aziendale della nuova Alitalia rispetto alla Alitalia in A.S. è stato, sin dagli inizi della crisi pandemica, un argomento spesso citato ma oggettivamente poco presente nel dibattito pubblico, più o meno approfondito. Pur non essendo definiti dalla normativa vigente, in modo specifico, né il significato giuridico, né la diversa articolazione industriale e organizzativa che dovrebbe realizzare un progetto di “discontinuità aziendale”, non si è mai palesata, a livello politico, neppure la volontà di dibattere, a grandi linee, quali avrebbero potuto essere, quantomeno sulla carta, i modelli industriali, economicamente “sostenibili e discontinui” richiamati anche dal Presidente Draghi, che fossero al contempo utili ai cittadini e alternativi alla solita ultratrentennale ricetta del modello del trasporto aereo Hub&Spoke (questa volta in versione minimale) su Roma Fiumicino.

In altri termini, piuttosto che analizzare una serie di opzioni industriali di “discontinuità” coerenti con un contesto post-pandemico e di valutarne le connesse questioni strategiche, finanziarie e sociali, si è assunto che, nell’interesse del Paese, il concetto della “discontinuità aziendale” dovesse giuridicamente e industrialmente coincidere esclusivamente con un forte ridimensionamento del perimetro di attività dell’impresa Alitalia sia in termini tipologie delle lavorazioni che di volumi della capacità offerta. 

Al riguardo, anche qualora il decisore politico avesse voluto assecondare la logica populista che vede nel sistema Alitalia un “carrozzone pubblico a bassa produttività e con minimo appeal”, avrebbe dovuto valutare, oltre alla chiusura definitiva di tutte le attività Alitalia, alcune alternative industriali che, sfruttando un know-how consolidato da decenni, esprimessero un posizionamento competitivo e una governance completamente diverse dal passato e fossero realmente in grado di “stare sul mercato senza sussidi pubblici”. 

A mero titolo di esempio si elencano già in questa sede quattro possibili alternative al mero ridimensionamento dell’impresa che avrebbero potuto utilizzare i ben noti tre miliardi di investimenti previsti per alimentare la crescita economica del Paese e determinare una maggiore occupazione:

Modello Klm: acquisto, da parte dello Stato italiano sui mercati, di una quota rilevante di uno dei tre grandi Full Service Carrier europei e successiva negoziazione di accordi parasociali volti a definire meccanismi specifici di Governance e di presenza sul mercato italiano – da attuare rilevando rami di azienda ex-Alitalia – che potessero configurarsi come volano per lo sviluppo del business e del turismo upscale;

Modello Easyjet/Jetblu: avvio di un’aerolinea ibrida, funzionale all’incremento massivo dei flussi turistici verso il nostro Paese, leader di costo e di efficienza nel Mediterraneo, caratterizzata da regole di governance, sebbene pubbliche, indipendenti dalla politica, innovative e basate sulla totale trasparenza; un’aerolinea guidata da una squadra di management, proveniente anche dal segmento low cost con concrete esperienze di successo alle spalle;

Modello Amazon/Cathay: avvio di una Piattaforma OnLine Incoming (mix tra Tour Operator ed Eatitaly) che facendo leva sulla notorietà della marca Alitalia potesse concretamente rendere vantaggiosa e attrattiva, per i clienti stranieri, l’offerta di prodotti italiani e della destinazione Italia rispetto ad altre destinazioni europee e mondiali;

Modello del trasporto aereo eco-sostenibile:: avvio di un’aerolinea in grado di sviluppare le proprie attività nell’ambito della frontiera dello sviluppo tecnologico aeronautico con caratterizzazioni connesse all’impiego di aerei, motori e procedure a bassissimo impatto ambientale (motori a idrogeno e/o elettrici) possibilmente fruendo anche di sussidi pubblici europei e andando a servire prioritariamente quei collegamenti aerei che non sono nell’interesse degli operatori privati nel libero mercato.

Come già accennato, in assenza di proposte progettuali serie e innovative, il nuovo postulato “discontinuità = ridimensionamento” ha consentito al decisore politico di evitare ogni analisi e discussione preventiva circa il modello industriale più appropriato per la futura Alitalia. E, come già visto, nonostante le enormi difficoltà tecnico/giuridiche connesse alla partenza di ITA, il Governo ha cercato di difendere, in sede DG Comp Ue, un modello industriale non molto dissimile da quello attuato, ovviamente senza alcun successo economico, negli ultimi venti anni.

La parte più critica di questo “nuovo-vecchio” approccio attiene ovviamente ai temi strategici e di tenuta competitiva in Europa in quanto il contesto competitivo europeo dopo il reset pandemico si sta delineando molto più aggressivo delle attese proprio come conseguenza delle grandi disponibilità di risorse finanziarie acquisite dai grandi player FSC (Full Service Carrier) e LCC (Low Cost Carrier) che durante la pandemia sono stati in grado, a fronte dell’enorme liquidità immessa sul mercato da Stati e Banche centrali, di raccogliere enormi capitali pubblici (Air France e Lufthansa) e privati (IAG, Ryanair ed Easyjet), sia in termini di mezzi propri che di finanziamenti a lungo termine. Capitali raccolti per un ammontare maggiore alle perdite economiche subite nel periodo della stessa pandemia e che quindi hanno generato nei principali vettori una disponibilità finanziaria paradossalmente più solida di quella che avevano alla fine del 2019. 

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