La Commissione vuole un nuovo ulteriore allargamento a 36-37 Stati. Una scelta totalmente contraria agli interessi dell’UE
La macchina politico-istituzionale-tecnocratica-mediatica di Bruxelles procede inesorabile verso l’ulteriore allargamento dell’Unione. Ieri è stata presentata l’edizione 2025 del Rapporto annuale sull’avanzamento dei processi di adesione all’Ue dei 10 Stati interessati. In contemporanea, Euronews, la piattaforma di informazione dedicata alle vicende europee, ospitava l’ennesimo “historic Enlargement Summit” (l’aggettivo “storico” ricorre sempre più generosamente per coprire la sempre più evidente irrilevanza dell’istituzione).
Abbiamo appreso che “l’allargamento non è una scelta, è una necessità”. Avanti tutta, a prescindere. A prescindere dai risultati raggiunti dai precedenti arrivi. A prescindere dai risultati conseguenti agli arrivi prospettati. Del resto, l’impianto istituzionale europeo messo a punto a Maastricht nel pieno dell’offensiva sulla “fine della Storia” è programmato per de-politicizzare ogni scelta politica. Le valutazioni sono puramente tecniche, necessitate appunto, come le scelte di politica monetaria della BCE o la pagella dei conti pubblici redatta dalla Commissione.
Nel reame europeistico, decidono i numeri. Ma soltanto alcuni numeri. Quelli che raccontano la storia giusta. L’apoteosi dell’ideologia pretende di nascondersi dietro la falsa oggettività degli indicatori.
Nel marketing della Commissione, l’allargamento “è un elemento fondamentale per la sicurezza, la pace, la stabilità e la prosperità a lungo termine in Europa. Promuove i valori comuni della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti fondamentali, favorendo nel contempo la crescita economica”.
Ma il bilancio a venti anni dagli ingressi del 2004 ha segno opposto, nonostante l’accurato tentativo di negarlo. I drammatici effetti negativi dell’espansione a Est nel 2004 e nel 2007 sono completamente ignorati. Il dumping sociale e fiscale e le delocalizzazioni alimentate da salari di 300 euro al mese e tassazioni minimali sono rimosse. Così come è cancellata la suicida torsione geopolitica per crocifiggere la Russia a “minaccia esistenziale”.
Per tentare di ricostruire le condizioni dell’Europa del welfare, si dovrebbe fermare il treno in corsa. Poi, promuovere cooperazioni rafforzate tra Stati con interessi convergenti. Quindi, no all’ulteriore allargamento dell’Unione e del suo mercato a Ucraina, Moldavia, Georgia, Balcani, finanche Turchia.
Un’Ue a 36-37 Stati, segnati da orientamenti geo-strategici ancor più strabici, precluderebbe la possibilità di maturare una minima soggettività sul piano internazionale e, sul piano economico, considerato l’impianto dei trattati europei, aggraverebbe la svalutazione del lavoro e le disuguaglianze. Il continente si consoliderebbe come Dipartimento economico e militare degli Stati Uniti, in una relazione di dipendenza coloniale. Un enorme, ancor più sleale – quindi ancor più feroce – mercato, in radicale contraddizione con i pilastri della nostra Costituzione.
La solidarietà all’Ucraina, come pure l’aiuto allo sviluppo degli altri Stati, si può fare attraverso un “Piano Marshall” finanziato dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (EBRD).
L’obiettivo geopolitico della sicurezza si può raggiungere, da un lato, con il consolidamento della Comunità Politica Europea e, dall’altro, con una soluzione multilaterale condivisa sull’architettura dell’Accordo di Helsinki di 50 anni fa.
È davvero deprimente constatare che chi dovrebbe rappresentare gli interessi di lavoratrici e lavoratori, sia sul versante politico che sindacale, è indifferente o applaude. Poi si stupisce, quando scopre che le periferie sociali colpite gli voltano le spalle o escono dal gioco democratico.
PS: soltanto in Italia – per superare magicamente le conseguenze negative dell’Ue XL in via di divenire XXL – gli “europeisti Doc” insistono sull’eliminazione del vincolo dell’unanimità, ossia sul superamento del diritto di veto sulle materie di primaria rilevanza politica (dalla difesa alle tasse), nell’ambito del Consiglio dei capi di Stato e di Governo.
È una discussione oziosa. In nessun grande o piccolo Stato europeo vi è consenso per arrivarvi. Del resto, contraddice ogni principio democratico vigente nell’unico spazio politico che l’uomo è riuscito a democratizzare: lo Stato nazionale. Gli appelli ricorrenti dei nostri eurofederalisti sono utili soltanto a loro stessi per evitare di tacere o almeno di fare autocritica sulle favole funzionaliste raccontate (prima: dalla moneta, la politica; ora: dalla spada, la politica) per presentare come transitoria l’inscalfibile gabbia ordoliberista dell’Unione.
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