Nel 2045 vivremo il sorpasso dei nuclei senza figli. L’ Italia è il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone: Istat rilancia l’allarme insieme a papa Francesco per cui ci saranno molti anziani soli e disperati, pochissimi giovani ed è un fatto che da quindici anni l’Italia sta affrontando un ricambio naturale negativo, alla base della riduzione della popolazione, nonostante la parziale contropartita di dinamiche migratorie con l’estero ancora di segno positivo se pur drammaticamente sempre più blande.
L’Italia non ha saputo sfruttare la sua appartenenza europea, vittima di una sorta di sindrome localista, e dunque non ha potenziato e usato tutte le risorse comunitarie dedicate ai progetti per i giovani. L’Italia ha ricavato dall’esperienza Ue soprattutto vantaggi commerciali grazie alla competitività e alla creatività delle sue imprese, ma non ha potenziato e investito sul sistema dell’istruzione e formazione professionale, attraverso un rapporto tra gli istituti formativi e il territorio dando loro vera autonomia, ha accentrato l’istruzione diventata ultra-ministeriale e non basta la buona iniziativa della Fondazione Leonardo per finanziare un liceo di 30 giovani super digitalizzati.
L’Italia non ha migliorato le sue infrastrutture adeguandole a un sistema socio-economico europeo integrato; la Pubblica amministrazione sia centrale che periferica non ha saputo usare con intelligenza e tempestività i fondi strutturali europei addirittura non riuscendo a spenderli nella misura del 50%. Si può dire che l’Italia non è stata in grado di disegnare una strategia italiana ed europea ed è rimasta vittima di un pervicace provincialismo mai indebolito da parte di classe politica incapace di visione innovativa se non nell’ultimo periodo grazie al Governo Draghi e questo patrimonio del Pnrr.
Ci troviamo oggi, con una delle più alte percentuali di Neet (giovani che non studiano e non lavorano), tra i più bassi tassi di occupazione delle donne con figli, tra i più bassi salari e più alti rischi di povertà infantile. Il desiderio di avere un figlio rischia di indebolirsi se non aiutato a diventare progettuale, a realizzarsi con successo nella vita di coppia e a integrarsi positivamente con altre scelte, in particolare con la vita professionale. Ciò che manca ai giovani italiani è la possibilità di passare dal sostegno passivo da parte dei genitori a un investimento pubblico in strumenti di attivazione e abilitazione, che consenta loro di diventare parte attiva e qualificata nei processi di sviluppo del Paese.
È la loro trasformazione da passivi ad attivi a fare la differenza, non tanto il passaggio dal carico sui genitori all’assistenza dello Stato. Promuovendo l’autonomia dei giovani e rafforzando gli strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia e politiche fiscali che agevolano l’occupabilità, si mettono i cittadini nelle condizioni di realizzare meglio i propri obiettivi di vita e si consente alle famiglie con figli di non sprofondare nella povertà.
È nel mondo in cui accadono le cose che i giovani vogliono dare il loro contributo, e in questo mondo l’Italia rischia di diventare sempre più marginale. Se l’alternativa è tra rimanere in Italia rivedendo le proprie ambizioni al ribasso e andare all’estero, e loro non sentono di servire all’Italia, sceglieranno di andare via perché vogliono un approccio diverso, un cambio di paradigma sul modo in cui sono intese le politiche per le nuove generazioni e le scelte familiari e occupazionali soprattutto femminili. Politiche con la capacità di produrre un impatto trasformativo sulla loro vita e delle persone e sulle varie dimensioni del benessere sociale e dunque occorre far diventare le politiche familiari parte centrale delle politiche di sviluppo del Paese.
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