Almasri, la relazione del Tribunale dei Ministri: "Liberato per evitare ritorsioni". La memoria difensiva del Governo: "Abbiamo agito in difesa dello Stato"
Almasri sarebbe stato scarcerato dal governo italiano per evitare ritorsioni, ma illecitamente: è questa l’accusa mossa dal Tribunale dei ministri nei confronti dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, per la quale è stata chiesta alla Camera l’autorizzazione a procedere. L’ipotesi è che abbiano aiutato il generale libico a sottrarsi alla Corte penale internazionale, seppure con responsabilità differenti.
LE ACCUSE A NORDIO, PIANTEDOSI E MANTOVANO
Ad esempio, dall’atto di accusa si evince che Nordio sarebbe stato consapevole del mandato d’arresto della CPI e abbia scelto di non darne esecuzione, violando almeno sei articoli dello Statuto di Roma. Inoltre, avrebbe bloccato le comunicazioni con la CPI e impedito che gli atti giungessero agli uffici competenti.
Il ministro della Giustizia è accusato anche di aver mantenuto un “atteggiamento attendista“, aspettando la decisione della Corte d’Appello, mentre avrebbe dovuto agire subito, come previsto dalla legge.
Per quanto riguarda Piantedosi, i giudici contestano il motivo alla base del decreto di espulsione urgente: non avendo commesso reati in Italia, il generale non doveva essere espulso dal ministro dell’Interno per ragioni di ordine pubblico e sicurezza.

In merito al ruolo di Mantovano, si parla di una forzatura relativa all’autorizzazione all’uso di un volo speciale dei servizi segreti per riportare Almasri in Libia, prima che fosse giunta una decisione definitiva della giustizia italiana. L’ipotesi è che abbia voluto accelerare la liberazione.
LA RIUNIONE D’EMERGENZA A PALAZZO CHIGI
Secondo il Tribunale dei ministri, il governo avrebbe deciso di rimandare il generale libico in patria per timore di conseguenze diplomatiche. A tal proposito, viene citata una riunione d’emergenza a Palazzo Chigi, in videoconferenza, alla quale hanno partecipato Mantovano, Piantedosi, funzionari della sicurezza, il capo dell’AISE Caravelli e il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Il tema centrale sarebbe stato proprio il timore di rappresaglie dalla Libia contro cittadini italiani presenti nel Paese o contro interessi italiani. Tuttavia, non vi sarebbero state minacce specifiche, ma solo un “clima agitato” e ipotesi di eventuali ritorsioni.
Per il Tribunale dei ministri, l’Italia avrebbe dovuto cooperare con la CPI, in base a quanto previsto dallo Statuto di Roma. Invece, «hanno scientemente e volontariamente aiutato il predetto a sottrarsi alle ricerche e alle investigazioni della CPI».
LA MEMORIA DEL GOVERNO
Accanto alla relazione del Tribunale dei ministri, è emersa anche la memoria presentata dal governo il 30 luglio, nella quale si sostiene che vi fosse uno “stato di necessità” per lo Stato italiano, secondo cui il trattenimento di Almasri avrebbe messo a rischio “interessi essenziali dello Stato“, come la sicurezza dei cittadini italiani in Libia. Si fa riferimento a una norma del diritto internazionale sulla responsabilità degli Stati per atti illeciti, che giustificherebbe la condotta del governo.
