Nell’ultimo articolo abbiamo parlato della pericolosa evoluzione della situazione sia politica che economica dell’Argentina, utilizzando anche il termine “golpe bianco” per definire la manovra che Cristina Kirchner sta portando avanti con il fine di costringere il Presidente Alberto Fernandez alle dimissioni e di subentrargli al potere.
Come sapete l’intero continente latinoamericano sta per essere investito da cambi a livello politico che portano il potere nei singoli Stati nelle mani di “revolucionarios” populisti: l’ultimo esempio è costituito dalle elezioni in Colombia, ma ormai molte nazioni hanno optato per aderire a questa ideologia che promette il benessere sociale in pochi anni, ma che, nella totalità dei casi, aumenta il malessere attraverso la diffusione della povertà.
Anche in Ecuador il 29 giugno si è verificato un tentativo di “golpe bianco” ai danni del Presidente Guillermo Lasso: l’iniziativa, promossa dalla Union por la Esperanza, partito d’opposizione il cui principale referente è l’ex Presidente Rafael Correa (che attualmente si trova in Belgio per sfuggire a una condanna di 8 anni di prigione – confermata – per una questione legata a tangenti), mirava a sovvertire il potere convocando elezioni anticipate; anche se fallita in pieno, dimostra l’esistenza di un piano per sovvertire l’ordine politico nell’intero Continente.
A dettare le regole di queste manovre è un gruppo (denominato Foro di San Paolo del Brasile) che raggruppa i principali partiti “rivoluzionari” della sinistra latinoamericana: vista così la cosa potrebbe sembrare il frutto di una falsa notizia, ma purtroppo, da circa 4 anni, è iniziato un cammino fatto di sollevazioni e proteste massive portate alla violenza da parte di facinorosi gruppi che, come accaduto in Cile, sono durate per molto tempo e hanno goduto della partecipazione di molti elementi provenienti da Argentina, Venezuela e Cuba.
Alla fine l’eco di questi movimenti ha generato l’ascesa di Gabriel Boric che, seppur in grandissime difficoltà a causa di una serie di decisioni che hanno trovato l’opposizione pure di tanti suoi votanti, ormai è lì a esercitare il suo mandato.
Argentina, Cile, Colombia, Bolivia, Perù, Nicaragua, Venezuela hanno preso questa strada. Mancano solo due Paesi per completare l’opera: Uruguay e Brasile.
Ma mentre nel piccolo Stato che sorge sulla sponda opposta dell’Argentina la situazione politica e anche la tradizione democratica sono saldissime, il Brasile si sta preparando alle prossime elezioni presidenziali del 2 ottobre con una massiva campagna mediatica mondiale che vede già l’ex Presidente Lula con un vantaggio notevole su Bolsonaro: ma sarà vero?
Questo stereotipo sta facendo il giro del mondo, pompato ad arte dai media “progressisti”, ma la realtà è ben diversa, anche se Lula da Silva viene fatto apparire come un Santo e Bolsonaro come il cattivo della pellicola: nonostante tutte le difficoltà interne ed esterne (tra le quali una crisi sanitaria, la paralisi dell’economia globale e una guerra con profonde ripercussioni economiche) il Governo federale brasiliano ha compiuto dei progressi e raccolto risultati notevoli in questi anni.
Tra questi molti importantissimi, quali la riduzione record di omicidi e delitti violenti, il maggior sequestro di droga, il più grande programma di privatizzazioni della storia brasiliana (per 402 miliardi di dollari), l’estinzione di 27.000 cariche pubbliche, la riduzione della disoccupazione dal 14% al 9%, una legge sulla libertà economica, una riforma sulle pensioni (aumentate), innumerevoli concorsi per la realizzazione di lavori pubblici (ferrovie, estrazione e raffinazione del gas), agevolazioni sulla creazioni di start-up, apertura di nuove aziende con procedure accelerate,, ristrutturazione e ampliamento di 2.500 scuole, riduzione delle tasse su centinaia di prodotti, compresi alimenti, medicinali e forniture mediche, tetto sulle tesse imposte dallo Stato. E via di questo passo con ben 55 punti di una relazione sui risultati raggiunti: insomma, un cambio notevole di una situazione disastrosa ereditata dalla “delfina” di Lula (Djilma Rousseff).
A tutto ciò bisogna aggiungere la creazione di 200 pozzi d’acqua effettuata dal Genio Militare in posti dove l’approvvigionamento idrico era impossibile, oltre alla statalizzazione di molte fonti d’acqua in mano a privati (amici di Lula) nel Nordest Brasiliano.
È ovvio che c’è ancora molto da fare specie contro l’inflazione causata dall’instabilità geopolitica, ma alla fine il Brasile ha sovraperformato altri Paesi e ottenuto buoni risultati nell’economia. E questo seppur a livello internazionale (lo ripetiamo) l’immagine di Bolsonaro sia paragonata spesso a quella di un Satana, complice anche una personalità per molti versi “originale” e litigiosa dell’attuale Presidente.
A ottobre vedremo come si concluderanno le elezioni: se con la conferma di un “Satana” molto amato dalla gente o la sua deposizione a favore del Santo (corrotto), ma con straordinario pompaggio mediatico.
Di certo si può dire che, nel secondo caso, il continente latinoamericano potrebbe trasformarsi in un’isola populista (ma bisogna aspettare le elezioni argentine nel 2023). La Cina, intanto (come pure dimostrato da un interessante articolo pubblicato recentemente sul Sussidiario) attende paziente: per conquistare definitivamente, dopo gran parte dell’Africa, un altro continente ricchissimo, con buona pace di Usa e Ue, senza nemmeno sparare un sasso con una fionda.
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