La disciplina dell’apprendistato in Italia è regolata dal D.lgs. 81/2015 che, agli articoli 43, 44 e 45 prevede rispettivamente l’apprendistato di 1° livello destinato agli allievi frequentanti scuole superiori (ITIS e Professionali), IeFP, IFTS, l’apprendistato di 2° livello, definito professionalizzante, destinato a diplomati e laureati dopo il termine del ciclo di studi e infine l’apprendistato 3° livello, o di alta formazione, destinato agli allievi di ITS e Università, che possono portare a termine il proprio ciclo di studi essendo già dipendenti dell’azienda.
Dai dati ricavati dall’ultimo bollettino INAPP-INPS del novembre scorso appare evidente come, sin dalla loro istituzione, i contratti di apprendistato di primo e terzo livello, cioè quelli che prevedono l’integrazione all’interno di corsi di studi istituzionali, non abbiano avuto i risultati sperati dal legislatore. I numeri (i più recenti risalgono al 2018) riportano infatti su un totale di 494.758 apprendistati, solo 10.994 (2,2% sul totale) di apprendistati di 1°livello, mentre il numero scende a 960 (0,2% del totale) per gli apprendistati di alta formazione (3°livello).
È proprio sull’apprendistato di alta formazione svolto all’interno di un corso ITS che vorrei esporre qualche considerazione. In altre parole, vorrei analizzare i motivi per i quali uno strumento nato per consentire a un giovane di compiere un’esperienza formativa in azienda, integrata nel il proprio ciclo di studi, non abbia incontrato il favore del sistema produttivo.
Il fenomeno potrebbe apparire inspiegabile se si analizzano i numerosi aspetti positivi del contratto, sia per le aziende che per i giovani, soprattutto se inserito nella cornice di un ITS, corso di studi che già strutturalmente ha le caratteristiche per integrarsi perfettamente a esso.
Il primo vantaggio è quello legato alla possibilità di un’azienda di poter assumere una risorsa, già selezionata che, giorno dopo giorno, si forma sia teoricamente che operativamente e che, dopo due anni, ma anche solo dopo pochi mesi di apprendistato, ha le competenze per essere operativa nelle mansioni richieste. In un momento in cui le aziende lamentano una drammatica carenza di tecnici specializzati, solo questa considerazione dovrebbe essere sufficiente per indurre un imprenditore a considerare positivamente il modello proposto. Per questo motivo, i vantaggi offerti dall’apprendistato di terzo livello dovrebbero essere attentamente valutati rispetto ai costi di una selezione per un “tecnico competente” affidata ad agenzie esterne o il tempo sprecato nella ricerca di nominativi estratti dalle ormai inutili “liste dei diplomati”.
Dal punto di vista generale, proponendo contratti di apprendistato di alta formazione, si può aumentare l’attrattività degli ITS e quindi il numero e la qualità di Tecnici Superiori formati, portando a iscriversi coloro che dopo il diploma di scuola media superiore pensano a un impiego immediato, anche di qualità inferiore rispetto alle proprie possibilità, per motivi principalmente economici o per la volontà di entrare subito nel mondo del lavoro.
Inoltre, il continuo contatto tra azienda e ITS stabilito con l’apprendistato non può che portare a un reciproco scambio fruttuoso di metodologie didattiche e competenze tecniche innovative, senza contare che, per la formazione interna dell’apprendista, l’azienda può accedere ai fondi interprofessionali, minimizzando le spese.
Il D.lgs. 81/2015 prevede anche incentivi di tipo economico e fiscale. Un apprendista viene pagato secondo tabelle contrattuali (assunto fino a 2 livelli in meno rispetto alle sue mansioni) per il periodo di lavoro vero e proprio, il 10% dello stipendio per le ore di formazione interna all’azienda e non viene pagato per la formazione esterna (lezioni ITS). Inoltre, per l’apprendista vengono versati da parte dell’azienda contributi pari all’11,6% per le aziende sopra i 9 dipendenti e addirittura inferiori per le più piccole. Fiscalmente le spese sostenute per la formazione dell’apprendista sono esenti da IRAP.
Quali sono allora le motivazioni della tiepida accoglienza di questo strumento all’apparenza molto vantaggioso?
La prima è sicuramente la scarsa conoscenza normativa e la resistenza verso la novità dello strumento da parte delle aziende. Nonostante gli interventi di informazione compiuti principalmente dalle associazioni datoriali e dalle Agenzie per il lavoro (APL), la diffidenza verso questo tipo di innovazione è diminuita soltanto negli ultimi tempi.
La seconda è la difficoltà di gestione e la complessità delle procedure, che hanno scoraggiato soprattutto le aziende meno strutturate. In questi compiti, però, la pratica riconosciuta dell’apprendistato “in somministrazione”, gestito dalle APL, è venuta incontro a chi non desiderava o non era nelle condizioni di affrontare gli adempimenti burocratici legati al contratto, stabilendo un fruttuoso rapporto a tre tra azienda, agenzia formativa (ITS) e APL.
L’ultima è l’immediato vantaggio economico per l’azienda che ha fatto finora preferire l’apprendistato professionalizzante, quando non il tirocinio, alle altre due forme di contratto in modo un po’ miope e senza una seria valutazione degli importanti aspetti formativi a esse legati.
In un sistema produttivo che richiede in modo pressante tecnici con competenze avanzate, la strategia delle nostre aziende dovrà quindi mutare con l’istituzione di rapporti integrati con il sistema formativo, sia per la formazione continua dei dipendenti, sia per far acquisire ai giovani tecnici competenze innovative.
In quest’ultimo campo il connubio Apprendistato di Alta Formazione e ITS potrà essere un’arma vincente.
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