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Home » Cultura » Arte » ARTE/ Dal gruppo Gel a Franzen e Milton, non possiamo salvarci da soli

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ARTE/ Dal gruppo Gel a Franzen e Milton, non possiamo salvarci da soli

Alessandro Artini
Pubblicato 27 Novembre 2022
Wenzel Peter, Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre (olio su tela conservato presso la Pinacoteca Vaticana)

Wenzel Peter, Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre (olio su tela conservato presso la Pinacoteca Vaticana)

L'opera artistica del gruppo Gel stimola una riflessione su come fosse il giardino dell'Eden e com'è stato rappresentato e descritto in passato

Giovanni Raspini non è solamente un famoso argentiere, ma è soprattutto uno scultore che unitamente a due compagni, Erika Corsi e Lucio Minigrilli, due giovani talentuosi, compone il gruppo “Gel”, acronimo che nasce dai nomi degli artisti stessi. I tre scultori lavorano metalli: creano modelli a cera persa secondo le antiche tecniche già in uso presso i Greci e i Romani, poi calano il bronzo fuso nelle forme, per procedere infine alla rifinitura delle opere con raspe e ceselli.

La loro maestria ha trovato già numerosi riconoscimenti e rappresenta un versante della scultura all’avanguardia. Il soggetto principale da loro scelto sono gli animali, i quali, sia che compongano opere d’arte di più vaste dimensioni sia che arricchiscano mobili e arredi vari, sono posti in una dinamica di ascesa, che rappresenta un tratto estetico caratteristico del gruppo. Gli animali, infatti, salgono sui mobili e sulle specchiere, creando un design che trasfonde nelle abitazioni oggetti ad un tempo domestici e naturali, ibridazioni di un mondo umano e animale. Una sorta di Eden. Già, ma com’era il giardino dell’Eden?

Ce lo mostra un pittore ottocentesco, l’austriaco Johann Peter Wenzel, le cui tele sono esposte presso la Pinacoteca Vaticana. In una di esse campeggiano le figure di Adamo ed Eva, attorniate da circa duecento animali che sono dipinti nella loro bellezza selvaggia e con una precisione anatomica degna di un trattato di zoologia. Nell’Eden tutto è piacere (come sembra suggerire l’etimologia della parola) e gli animali convivono pacificamente. Tuttavia, Wenzel ci rende subito partecipi dell’imminente catastrofe, rappresentando un presagio funesto che incombe: Eva indica ad Adamo i magnifici frutti che pendono dalla chioma dell’albero al cui tronco egli comodamente si appoggia, mentre dai rami si sporge subdolamente il serpente.

Per lo scrittore Jonathan Franzen, ormai la caduta originaria è già avvenuta e siamo nel pieno dell’apocalisse ambientale. Per prepararci a mitigarla e ad affrontarla con consapevolezza e umanità, dobbiamo coltivare speranze fondate su sincerità e amore e ammettere che non possiamo più prevenirla. La speranza, infatti, è un investimento, che è meglio compiere ad occhi aperti, riconoscendone il respiro e i limiti, anzitutto per noi stessi. Essa va nutrita amorevolmente perché, senza amore, non c’è nessuna speranza che valga la pena di coltivare. Franzen ci racconta, in un breve saggio, di un pomeriggio in Germania, nel Brandeburgo, allorché con un amico tedesco decide di visitare la splendida foresta di Jüteborg, che ospita lupi, lontre e uccelli rari come il succiacapre e l’upupa. All’improvviso scoppia un incendio che si espande con una velocità incredibile, a causa di un forte vento, secco e caldo. Gli alberi letteralmente esplodono tra le fiamme, mentre gli animali fuggono…

È evidente che, se ci salveremo, ciò avverrà assieme agli animali, dacché il nostro destino ad essi è indissolubilmente connesso. Lo testimonia anche il racconto biblico, che forse emette i barlumi della memoria inconscia di antiche catastrofi climatiche e che forgia, al contempo, l’archetipo dell’uomo giusto, incolume per aver rispettato la Legge. Ma Noè non si salva da solo, perché l’Arca è carica di animali, oltre che della sua famiglia. Ed è proprio la presenza di questi ultimi che garantisce l’universalità del Creato. Non c’è salvezza umana senza quella degli animali.

John Milton, nel Paradiso perduto (tradotto dal poeta risorgimentale Andrea Maffei), narra la vicenda di Noè in questi termini:

“(…) indi, abbattute
Molte travi sul monte, a costruirsi
Comincia un’arca di gran mole, e l’alto,
Il largo, il lungo a cubiti misura.
Poi di pece la spalma, un varco schiude
Da lato, e di alimenti in molta copia
Per l’uom, per gli animali alfin la carca.
Ed ecco (oh maraviglia!) insetti, augelli,
Belve accostarsi d’ogni specie a sette,
A due, come il Signore avea prescritto,
E locarsi sull’arca. Il padre, i figli
E le quattro lor donne ultimi entraro;
Dio ne chiuse la porta”.

Come nell’Arca, così gli animali del gruppo “Gel” entrano nelle nostre case, con le loro pelli bronzee accurate, con le piume minuziose, gli occhi aguzzi, feroci o sornioni e il corpo materico aitante. Essi vengono a ricordare che la loro esistenza preserva la specie umana dall’estinzione. Le opere di “Gel” sono informate dai valori del rispetto della natura. La bellezza, infatti, non potrà salvarci da sola, senza che si maturi uno sguardo attento all’habitat terrestre. Ancora una volta l’estetica si fonde con l’etica, facendo sì che la mano artistica si ponga all’altezza dei valori universali.

Forse, come suggerisce Franzen, i giochi sono chiusi, ma vale comunque la pena di battersi contro l’apocalisse per evitare lo scenario del diluvio universale, che Milton rappresenta con poche essenziali parole:

“Al mare è il mar coperchio;
Bàratro sterminato!”.


ARTE/ Kandinsky, l'Italia, l'Europa: un "viaggio" nel dialogo delle forme


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