Un libro recente dedicato a Giovanni Pozzi, autore delle parole mariane all’interno della cappella sul Monte Tamaro, progettata da Mario Botta
Sul dorso erboso di Monte Tamaro, non lontano dal confine che oggi divide le valli lombarde dal Canton Ticino, si distende la sagoma inconfondibile della cappella di Santa Maria degli Angeli.
Ѐ una delle più pregevoli opere di architettura sacra ideate da Mario Botta, realizzata negli anni tra il 1990 e il 1996. Di forte impatto è il luogo stesso in cui sorge, con il suo terrazzo-belvedere che spalanca al panorama della catena alpina disposta a corona dei laghi. Ma è soprattutto l’interno dell’edificio che colpisce, per la sobria essenzialità del suo farsi vibrante richiamo ai nudi contorni del Mistero che si rende presenza eloquente. Si fa accogliere nell’umile scrigno di pietra disegnato secondo le linee di un ordine ridotto alla più austera compostezza di timbro monastico.
Il punto focale della spazialità in cui ci si introduce una volta entrati è la piccola abside alle spalle della tavola di legno dell’altare: è il vertice che inesorabilmente cattura anche lo sguardo più distratto. Su una parete di un azzurro intenso come il cielo incendiato dalla luce della sera si presenta il motivo che è il perno dell’apparato decorativo della chiesa. Sono due semplici mani stilizzate che si protendono nel gesto dell’offerta. Non trattengono per sé. Non vogliono arraffare per possedere. Sono il frutto di una resa: all’imponenza di un Oltre a cui si cede, pieni di fiducia e di attesa.
L’invenzione simbolica si deve a un altro grande artista contemporaneo, Enzo Cucchi, che l’ha integrata con il marchio supplementare di originalità tradotto nella scelta di replicare il motivo delle mani protese sulle ventidue tavole dipinte distribuite lungo i profili laterali della cappella. Per chiudere il cerchio, ognuna di queste tavole è accompagnata da un breve commento in forma di encomio allusivo, che associa l’elemento naturale riprodotto nelle tavole alla figura in cui è culminata la mossa del rendersi disponibili al piano di Dio per la salvezza del mondo.
Si intende che è la figura di Maria, colei che si è identificata in modo totale con il “Fiat” dell’offerta suprema, senza più ritorno, in risposta alla chiamata ricevuta. Ogni replica del motivo delle due mani le congiunge con un merito particolare o un risvolto specifico dell’insuperabile eccellenza della Madre di Cristo, scandendo il ritmo di una moderna litania inscritta nel registro dell’ostensione muraria: “Salve mela granata / ricca di semi di grazie / intatta intemerata”, “Ave ombra soave / al viandante refrigerio / ricovero di chi è in pena”, “Salve mare infinito / che inondi il mondo / di grazie”, “Ave lucente sole / luminosissima aurora / alba di eterno giorno”, e così via.
Le sorprese non sono comunque finite, perché occorre sapere che gli elogi mariani riprodotti sulle pareti della cappella del Tamaro sono da ricondurre a un insigne cultore della bellezza della parola scritta intrecciata alle sue rappresentazioni visive, attivo nella cornice del nostro mondo contemporaneo fino a pochi anni or sono. Si tratta dell’autorevole e largamente stimato italianista Giovanni Pozzi (1923-2002), che ha fornito il suo contributo di letterato lavorando in uno stretto rapporto di intesa con l’architetto e l’artista coinvolti, insieme a lui, nell’impresa costruttiva.
Dei significati racchiusi in ciò che si volle allestire sul Monte Tamaro, esaltati dal convergere in un unico disegno corale delle personalità di così alto rilievo come quelle citate, si discute in modo diffuso nei primi capitoli di un prezioso volume fresco di stampa, inaugurato da un intervento in chiave autobiografica dello stesso Botta: Per padre Pozzi. Preghiera e poesia. Studi in memoria di Giovanni Pozzi nel centenario della nascita (Armando Dadò, Locarno 2024).
Già dal titolo si intuisce che l’attenzione è prevalentemente rivolta, in questo contesto, al grande esperto di letteratura religiosa autore dei versetti di elogio destinati a celebrare l’onore della Vergine Maria.
Il libro che gli è stato dedicato è di notevole interesse perché consente un primo approccio diretto alla figura per molti versi geniale di padre Pozzi: stimatissimo professore a Friburgo, allievo e continuatore di Contini e Billanovich, e nello stesso tempo religioso cappuccino, innamorato delle tracce che l’attrattiva dell’assoluto, l’attaccamento degli esseri umani alla realtà del divino, hanno depositato nella tradizione della mistica, nelle espressioni della pietà popolare, nella produzione delle immagini sacre e degli ex voto.
Sollecitati dagli indizi segnaletici copiosamente riuniti nei saggi di questo volume, si potrà essere sospinti a riprendere in mano non solo i commenti dedicati da numerosi interpreti, in modo più o meno felice, alla visione intellettuale e all’opera di studioso di padre Pozzi, ma, prima ancora, se ne viene rimandati agli stessi esiti più rilevanti del patrimonio di testi da lui lasciati in eredità come un tesoro fecondo a cui continuare ad attingere.
Al di là del suggestivo panorama esplorato in La parola dipinta (1981 e di nuovo 1996), ci si potrà sempre misurare con gli spunti veramente acuti, innovativi e stimolanti, disseminati nei saggi delle due grandi antologie di Adelphi, Sull’orlo del visibile parlare (1993) e Alternatim (1996), oppure in quella curata da Vita e Pensiero, Grammatica e retorica dei santi (1997), magari fino a risalire a uno dei suoi ultimi scritti: Tacet, uscito postumo nel 2013.
Rileggere i grandi maestri – è proprio vero – quando prende forma il desiderio di una imitazione che, per essere fertile, può nascere solo dall’amore per il metodo da loro seguito, prima ancora che dal fascino per i risultati a cui sono approdati. Il passivo ricalco ripetitivo delle strade, anche le più solitarie ed impervie, già da loro battute si arena, prima o poi, nelle sabbie mobili delle illusorie scorciatoie deprimenti.
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