ARTE E FEDE/ Sacri Monti: da Varallo a Ghiffa, un “corpo a corpo” con Dio

- Danilo Zardin

La forza evocativa e l'immedesimazione con la fatica reale della passione di Cristo. Sono i Sacri Monti italiani: Varallo, Orta, Ghiffa e molti altri (1)

sacromonte varallo 1 sito1280 640x300 Il Sacro Monte di Varallo (foto da sacromontedivarallo.org)

Ai bordi della pianura padana, tra Piemonte e Lombardia, si addensa la rete più fitta dei complessi devozionali dei Sacri Monti. Quelli che possiamo oggi ammirare sorsero a partire dagli ultimi anni del Quattrocento, nel cuore di una stagione che si era soliti descrivere come una fase di declino e grave oscuramento del sentimento cristiano della vita, ma che in realtà presenta, nelle sue pieghe neanche troppo segrete, elementi di timbro radicalmente diverso.

Non è per nulla casuale, fra l’altro, che per allestire i complessi dei Sacri Monti si scegliessero luoghi di potente suggestione già per la loro stessa posizione o configurazione naturale: la forza evocativa di una fisicità il più possibile attraente doveva esaltare la pregnanza di un messaggio in cui l’intensità della preghiera e il calore dell’insegnamento ascoltato si univano alla plasticità delle rappresentazioni figurative dei contenuti della fede, al coinvolgimento diretto dei sensi, in definitiva all’esperienza di una immedesimazione che trapassava i muri di estraneità rispetto ai nuclei teologici più impervi della dottrina trasmessa dalla Chiesa.

I Sacri Monti erano il teatro di un grandioso apprendistato corale. Chiunque vi poteva trovare lo scenario funzionale agli esercizi sempre ripetibili di una formazione continua, mai conclusa lungo l’intero arco dell’esistenza. Aggirandosi nei loro recinti, sostando davanti ai siti dei “misteri” che vi venivano richiamati, ci si metteva in grado di prendere dimestichezza con i fatti più decisivi della storia della salvezza del mondo, onorati da una memoria collettiva tramandata sul filo dei secoli.

Ma quello che si assimilava non lo si guadagnava solo attraverso un veicolo intellettuale. Passava attraverso la pratica, il gesto penitenziale, la fatica di un corpo a corpo con cui segni e figure di un codice religioso antico venivano riproposti nella loro stringente attualità. Si mobilitavano, per questo scopo, le risorse di tutti i media a disposizione: visivi, verbali, sonori, immaginativi. Intrecciandoli tra loro, si cercava di ridare vita a ciò che non bastava tramandare a parole. Bisognava recuperarlo dalle ceneri del passato, reimmetterlo nel circuito di un abbraccio amoroso che puntava a incidere sulla carne del presente, per lasciare una traccia lungo gli snodi dell’itinerario in cui si era immersi come protagonisti.

Il primo e senza ombra di dubbio il più spettacolare fra i Sacri Monti norditaliani è quello edificato sulla sommità del colle che sovrasta Varallo, all’imboccatura delle valli del Sesia, le valli che portano fino alle pendici maestose del Rosa. I percorsi di salita sul fianco di rilievi collocati in posizioni di dominio sulla pianura sottostante, o al di sopra di specchi lacustri di pungente bellezza, divennero le sedi preferite per i complessi che presero forma nei decenni successivi al primo Cinquecento: come a Orta, con il suo Sacro Monte destinato a celebrare la santità esemplare dell’imitatore più fedele della vita di Cristo, cioè Francesco di Assisi; oppure sul monte che sovrasta Varese, qui con la scelta di dedicare le cappelle distribuite ai margini di uno splendido viale processionale ai misteri del Santo Rosario della Vergine Maria, secondo un orientamento filomariano poi ribadito altrove, su scala più modesta, per esempio a Ossuccio, in una bellissima postazione di guardia sulle rive del braccio occidentale del lago di Como, oppure sul colle che fa da scorta al santuario della Madonna di Crea, nel Monferrato (in questo caso a favore della vita e del trionfo paradisiaco di Maria in generale, senza passare attraverso lo schema privilegiato della preghiera del Rosario).

Altri Sacri Monti trovarono ospitalità sulle alture che si rispecchiavano nelle acque del Lago Maggiore: alla Madonna del Sasso di Orselina, vicino a Locarno (anche qui a partire dai due decenni conclusivi del Quattrocento), più tardi a Ghiffa, a Brissago, con scarso successo più a sud, in prossimità di Arona, vicino ai luoghi che avevano dato i natali a un altro grande santo, questa volta dei tempi moderni: l’arcivescovo riformatore di Milano Carlo Borromeo, canonizzato nel 1610.

Altri Sacri Monti ancora, di nuovo di ispirazione mariana, a volte incentrati, invece, sui misteri della vita di Cristo, in particolare sui suoi misteri dolorosi, furono edificati tra le valli dell’area elvetica meridionale, a Visperterminem e a Sass Fee. Oppure in prossimità di santuari e luoghi di culto che così potenziarono la loro capacità di richiamo, saldandosi alle nuove forme di pietà alimentate dalle metamorfosi del cristianesimo della prima età moderna. Da Belmonte, nel Canavese; a Graglia, nei pressi di Biella; a Oropa, di rinforzo al prestigio della Madonna nera adottata dalla casa dei Savoia come protettrice celeste del loro ducato in via di robusto consolidamento; poi ancora a Domodossola, verso il valico del Sempione: in tanti luoghi diversi, con repliche spazialmente ridotte, in certi casi, entro circuiti ristretti, o persino confinate all’interno delle mura protettive di singoli edifici sacri, nei secoli dell’Antico Regime cattolico si disegnò il mantello sempre più capillare di una geografia del sacro adagiata sopra il profilo ondulato dei territori di confine, posti a cerniera tra il mare della pianura e i contrafforti dei monti che lo cingono, alle spalle, su tre lati.

Il fascino di queste superbe creazioni dello spirito religioso tradizionale è miracolosamente sopravvissuto resistendo ai mutamenti dei canoni estetici e della gerarchia degli interessi condivisi a livello sociale. Non sta più al centro del sistema collettivo del vivere, questo è evidente. Ma ciò nonostante si è trasmesso fino a lambire i nostri giorni. Tra le tante che si potrebbero citare, ne è una testimonianza al massimo grado eloquente il contraccolpo che la scoperta di Varallo produsse, a fine Ottocento, in un viaggiatore straniero che mai, prima di allora, aveva avuto occasione di farsi un’idea dell’eccezionalità del sito. È giusto dare evidenza a questo episodio perché le reazioni che ne furono suscitate fecero del suo attore principale il più convinto propugnatore del rilancio dei Sacri Monti come fenomeno storico di rilevanza primaria, nel quadro di una volontà di comprensione più attenta, più profonda e più elasticamente adeguata delle linee di sviluppo della modernità artistica nel contesto italiano, dall’epoca del Rinascimento in poi. Ci stiamo riferendo a Samuel Butler: figura davvero curiosa di letterato umanista del secolo romantico, amante dei classici, dell’arte e della natura, pittore, fotografo, musicista, traduttore di Omero, scrittore di talento, seguace di Darwin e polemista accanito. Il suo destino venne a incrociarsi in modo imprevedibile, a un certo punto dell’esistenza, proprio con la realtà dei Sacri Monti italiani.

(1 – continua)





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