Palazzo Reale di Milano ospita fino al 29 giugno una mostra dedicata all’Art Déco. Lo sfarzo raffinato di un’età fragile e incerta
Creazioni in pregiato legno di palissandro e acero, opera di ebanisti come Jules Leleu e Joubert con Petit, il primo che reinterpreta forme settecentesche, i secondi che propongono una linea asciutta e geometrica. Sono i lussuosi mobili che negli anni Venti del Novecento arredano gli elegantissimi salotti in cui si muovono disinvolte, piene di charme, donne affascinanti, colte ed emancipate come Wally Toscanini.
Secondogenita di Arturo – il più grande direttore d’orchestra –, nel celebre ritratto che le fece Alberto Martini ci appare adagiata su morbidi panneggi, in posa da triclinio e con uno sguardo magnetico.
Ma c’è anche, frutto della riscoperta di un mito antico ma ancora vivo, la Diana cacciatrice di Anne Carlu, che rappresenta l’eterno femminino, giovane, seducente e ammiccante, ma anche gelido e crudele. E non mancano le straordinarie invenzioni di Gio Ponti per la Richard Ginori: piatti in porcellana e oro, vasi in terraglia smaltata, coppe e orci in maiolica.
Poi ancora i vetri soffiati colorati di Vittorio Zecchin, le fusioni in argento di Renato Brozzi, una terracotta dipinta di Duilio Cambellotti, le coppette, i cofanetti e i centrotavola di Alfredo Ravasco, realizzati utilizzando oro, malachite, perle, quarzo, topazio, onice, zaffiri, corallo e agata. Un tripudio di materiali preziosi e sfavillanti.
La mostra Art Déco. Il trionfo della modernità, a cura di Valerio Terraroli, aperta al Palazzo Reale di Milano fino al 29 giugno, presenta al pubblico ben 250 opere, divise in 14 sezioni. Oltre alla splendide porcellane e maioliche, e ai mobili d’autore, sono esposti numerosi oggetti d’arredo, alta oreficeria, accessori, tessuti e abiti, come pure dipinti e sculture, più vetrate e mosaici che rimandano agli sfarzosi ambienti di hotel, stazioni e mezzi di trasporto riservati ancora a pochi, come transatlantici e aerei.
L’allestimento è arricchito da frame cinematografici, riproduzioni di manifesti pubblicitari e riviste, fotografie d’epoca, per restituire il clima di un periodo storico unico e irripetibile: quello del fragile decennio tra il primo, drammatico dopoguerra e la fine degli anni Venti, un mondo ferito sospeso tra i due conflitti mondiali, ma ricco di novità creative. Sullo sfondo, una società che sta rapidamente mutando, nei luoghi e negli stili di vita, nell’architettura, nella moda, con l’industrializzazione che avanza e determina tensioni economiche e sociali.
Siamo in quella che è stata definita “l’età dell’incertezza”, in cui si vive in una sorta di limbo effimero, una parentesi apparentemente felice e scintillante prima dell’affermarsi dei regimi totalitari.
È proprio per dimenticare il dolore dei lutti e degli orrori vissuti e l’angoscia per un futuro che non appare roseo che, nell’Italia e nell’Europa stremate dalla guerra, prende piede un’improvvisa voglia di lusso e raffinatezza, glamour ed edonismo. È questa la radice profonda dell’Art Déco, abbreviazione di Arts Décoratifs: una corrente artistica emersa in Francia all’inizio del XX secolo, in occasione dell’apertura a Parigi, nella primavera del 1925, dell’Exposition des Arts décoratifs et industriels moderns.
La partecipazione italiana è di qualità, e viene premiata con i Grand Prix a Gio Ponti per le ceramiche, a Galileo Chini e a Vittorio Zecchin per i vetri trasparenti, a Renato Brozzi per gli argenti e ad Adolfo Wildt per la scultura.
Un gusto prima ancora che uno stile, il Déco risponde al crescente desiderio di evasione e appagamento dei sensi che si diffonde nel Vecchio Continente e che approderà in America negli anni Trenta. È una risposta in chiave “decorativa” alle sfide della modernità, che si esprime al meglio nelle arti applicate – dal mobile alla ceramica, dall’illustrazione alla moda – e dell’architettura, ma echi di tale gusto si trovano anche nelle arti figurative. Parte delle avanguardie puntano così su una bellezza capace di stupire e incantare.
Parigi, Londra, Milano, Vienna, Praga, Berlino e Monaco diventano il brillante palcoscenico che vede l’alta società del tempo, in questa manciata di anni, vivere un sogno fatto di opulenza, mondanità, seduzione e splendore. I palazzi aristocratici e le residenze borghesi si trasformano in passerelle in cui esibire una sfrenata eleganza, i salotti sono colmi di oggetti raffinati e di valore, da esibire come simbolo di una raggiunta agiatezza.
Il gusto Déco connota residenze private, ma caratterizza pure ambienti di uso collettivo, come teatri, sale cinematografiche, palazzi pubblici e stazioni ferroviarie. La mostra milanese ospita infatti anche – nella Sala della Lanterna – arredi, fotografie e documenti storici relativi al Padiglione Reale della Stazione Centrale di Milano, un autentico capolavoro dell’Art Déco, un gioiello nascosto concepito come sontuosa sala d’attesa del re e della famiglia reale quando venivano nel capoluogo lombardo.
L’Art Déco, a differenza dell’Art Nouveau che l’ha preceduta – caratterizzata da linee fluide, forme curvilinee e motivi naturali stilizzati – è definita da linee pulite e forme più angolari, con motivi ripetuti, linee rette e disegni geometrici come triangoli, cerchi e zigzag. Vengono adoperati, come abbiamo visto, materiali di lusso come legno esotico e metalli preziosi, oltre che marmo e avorio.
La nuova espressione artistica trae ispirazione dall’arte classica greca e romana, egiziana, azteca, e da altre culture del passato. Ci ha lasciato un’impronta duratura nella nostra concezione di bellezza. Basti pensare a edifici iconici come l’Empire State Building e il Chrysler Building di New York, che mostrano evidenti influenze Art Déco nei loro dettagli architettonici.
Ma la metropoli lombarda non è da meno: sono almeno un centinaio gli edifici ancor oggi esistenti in varie parti della città che si rifanno all’Art Déco, da Villa Necchi Campiglio al Planetario, dall’ex Cinema Odeon alle tombe di famiglia del Cimitero Monumentale, fino a numerosi palazzi residenziali.
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