Lo chiamavano “Don Luigi” eppure non si era mai “arrabbiato” per quel soprannome che aveva da ragazzo: lui voleva divertire un sacerdote poi però la sua vita ha preso una piega tutt’altro che “santa”. Un quarantenne condannato per omicidio di nome Luigi è il protagonista della storia raccontata giorni fa dall’Avvenire e raggiunta anche oggi dal Resto del Carlino che ha raggiunto direttamente l’uomo che ha da poco preso i voti di povertà e castità in carcere a Reggio Emilia dopo un lungo percorso di conversione con il vescovo Mons. Massimo Camisasca: «nel buio della mia vita la luce del Signore», racconta il carcerato che sabato scorso ha preso i voti dietro le sbarre.
Condannato a 30 anni per omicidio, una vita perduta dopo un principio di forte fede contadina che non ha impedito la brutta piega del male: eppure, come racconta Dostoevskij nel capolavoro “Delitto e Castigo”, è nel buio del sottosuolo umano che la Luce può venire a “trovare” l’uomo perduto. E salvarlo: «Luigi prende infatti una strada diversa, nel corso della quale durante la quale alterna momenti di equilibrio a periodi di sregolatezza costante, caratterizzati da eccessi di alcol e frequenti episodi di violenza», spiega l’Avvenire nel presentare l’incontro incredibile tra il vescovo e il condannato che aveva chiesto di prendere i voti.
DALLA CADUTA ALLA LUCE
L’opera missionaria della Chiesa nel carcere di Reggio Emilia è anni che si muove nel silenzio delle “cronache nazionali” ma producendo incontri, dialoghi spirituali e vicinanza agli “ultimi” della società. Proprio in quest’opera portata avanti da don Matteo Mioni dei Fratelli della Carità e don Daniele Simonazzi dei Servi della Chiesa è giunta la richiesta di questo condannato Luigi di poter incontrare Mons. Camisasca. «Non conoscevo molto la realtà del carcere, lo confesso, ma da allora è iniziato un cammino di presenza, celebrazione e condivisione che mi ha molto arricchito», racconta il vescovo all’Avvenire. La storia di Luigi è invece quella simile a tante altre in galera: gioventù di umili origini, desiderio di entrare in seminario e poi lo sballo che gli eccessi che lo portano completamente sulla strada “perduta”. Si allontana dalla Chiesa ma soprattutto è la dipendenza che finisce sempre per prendere il controllo: sotto l’effetto di alcol e cocaina una sera viene coinvolto in una rissa e commette l’omicidio per cui è condannato.
LIBERTÀ NEL CARCERE
«Un passaggio che mi ha molto colpito – spiega ancora il vescovo di Reggio Emilia – è quello in cui Luigi sostiene che ‘il vero ergastolo non si vive dentro una galera, ma fuori, quando manca la luce di Cristo’»: è lì che comincia l’intuizione dei voti da prendere, e non importa che avvengano da dietro le sbarre. «Nessuno di noi è padrone del proprio futuro e questo vale a maggior ragione per una persona privata della libertà. Per questo volevo che Luigi pensasse anzitutto a ciò che significano questi voti nella sua condizione attuale», spiega Camisasca all’Avvenire e al Resto del Carlino.
Dopo un proficuo dialogo fatto di lettere e incontri, il vescovo si convince che «nel suo gesto di donazione c’è qualcosa di luminoso per lui, per gli altri carcerati, per la Chiesa stessa». Gli appunti di Luigi sono commoventi e con una riscoperta quasi “infantile” di chi sembra rinato all’interno della pena: «povertà è condividere la vita con le persone che sono detenute insieme a me», mentre l’obbedienza è «disponibilità a mettersi in ascolto, sapendo che Dio parla anche attraverso la bocca degli stolti». Dalla conversione di un detenuto ad una riscoperta di un vescovo: Camisasca ammette così «c’è il mistero al quale non posso fare a meno di pensare quando sollevo lo sguardo verso il Crocifisso che sta nel mio studio. Viene dal laboratorio del carcere, mi impedisce di dimenticare i detenuti. Le loro sofferenze e le loro speranze sono sempre con me. E riguardano ciascuno di noi».