Assegno di divorzio, no della Cassazione alla moglie/ “Non ha cercato lavoro”
La Cassazione di Genova ha detto no all’assegno di divorzio per la moglie che non ha cercato lavoro dopo l’addio all’ex marito

No all’assegno di divorzio per una donna che per i 15 anni successivi alla separazione, non ha mai cercato lavoro. È quanto deciso dalla Corte di Cassazione di Genova, che ha stabilito proprio la non necessità di dare un riconoscimento economico alla ex moglie da parte dell’ex marito. La donna, infatti, secondo i giudici si è dedicata esclusivamente al volontariato e alla politica, senza cercare un lavoro.
La donna, che chiedeva il riconoscimento dell’assegno di divorzio dall’ex marito, non ha visto soddisfatte le proprie richieste da parte della prima sezione civile di Cassazione presieduta da Francesco Antonio Genovese. Il giudice ha stabilito la bocciatura del ricorso non solamente sulla mancanza di ricerca di lavoro da parte della donna ma anche sul fatto che il figlio della coppia abbia trovato nel nuovo compagno della madre “… un punto di riferimento, essendosi egli occupato del minore, nel corso degli anni”.
Cassazione: “No all’assegno di divorzio se…”
Non si tratta di una sentenza senza precedenti quella della Corte di Cassazione. Già nell’ordinanza n. 2684/2023 era stato stabilito che l’ex che rifiuta una proposta lavorativa seria e stabile non ha diritto all’assegno di divorzio dell’ex marito o ne ha diritto in maniera ridotta. Dopo il divorzio, un uomo aveva fatto ricorso per chiedere la revoca dell’assegno di 48.000 euro annui alla ex moglie. Il decreto di accoglimento era stato riformato in parte in sede di appello, per la non dimostrata convivenza stabile della donna con un altro uomo.
Per la Corte di Appello l’offerta di lavoro era irrilevante in quanto era stato stabilito e accertato in sede di divorzio la rivisitazione dell’importo solamente se la stessa avesse trovato un impiego part- time con stipendio mensile superiore a 1000 euro. Il successivo ricorso in Cassazione ha poi stabilito che la Corte avrebbe dovuto valutare “la serietà dell’offerta lavorativa, la stabilità della stessa, l’effettività del posto di lavoro e la congruità dell’impiego rispetto alla formazione della donna”, come spiega Studio Cataldi. Qualora l’offerta fosse valida e seria, lei, rifiutandola, avrebbe violato i doveri post coniugali di rendersi indipendente rispetto all’ex coniuge.
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