Fra le numerose uscite del pop italiano “d’autore” in questo scorcio di 2025, irrompe il gruppo senese
“Escono troppe canzoni, esce troppa roba e nessun dodicenne di oggi tra quarant’anni si troverà in un bar a squarciagolare Tony Effe o chi diavolo ascoltano i dodicenni di oggi. Il pop non è più la brillante promessa che era all’altezza dei dodici anni nostri.”
Così, tra un divertito cinismo e una rassegnata constatazione, la giornalista e saggista Guja Soncini (classe 1972) scrive sul sito “Linkiesta”, sull’attualità della musica italiana da classifica.
Aggiungendo una “perla” da non dimenticare: “Dal ceto medio complessato, ‘cantautore’ viene sempre trattato come titolo onorifico e non come una mansione (…) certo che c’è un problema: in una generazione di così incapaci, che ogni canzone ha sei autori. Ma da lì a dire che scriverti le canzoni da solo ti rende un essere superiore: anche meno!”
Ma noi, “ceto medio complessato”, per difenderci dallo’ tsunami’ di fronte alla inusuale quantità di uscite discografiche di questo primo scorcio d’anno 2025, vogliamo proprio partire da queste considerazioni un po’ acide per riappropriarci di un gusto personale (che trattandosi di musica è comunque soggettivo) verso tutta questa musica “che gira intorno” (cit. Fossati) e riconoscere quale consistenza artisticamente sincera ci sia nell’offerta musicale che invade le nostre giornate (sempre che siamo abbastanza vivi per accorgercene).
E’ indubbio che in questi ultimi mesi tra novità, conferme e autocelebrazioni, il panorama della musica cantautorale (ci scusi la Soncini, se usiamo questo termine) sia piuttosto vivace.
Ha cominciato Lorenzo Cherubini (in arte Jovanotti) con “Il corpo umano vol.1”: caduta (da bicicletta) con rotture multiple, convalescenza (occasione per meditare sulla vita che scorre) e rinascita (canzoni di buona fattura) con un retrogusto di scampato pericolo e un messaggio di “positivo buonismo’.
Intanto al Festival di Sanremo sono sbarcati, come per sbaglio, Brunori sas e Lucio Corsi. Il primo, in pista da quasi vent’anni, si sta facendo apprezzare da un pubblico sempre più variegato, con quel suo raccontare arguto di storie d’amore e di rapporti sociali, vissuti spesso della profonda periferia, sostenute da un imprinting musicale che si rifà al cantautorato (e daje!) più nobile e storico: Rino Gaetano, Lucio Dalla e la ’scuola romana’ in generale. Lo conferma anche il suo nuovo album “L’albero delle noci”, anche se con qualche stanchezza e ripetitività.
Del pierrot post-moderno Lucio Corsi, si stanno scrivendo fiumi di recensioni entusiaste: quasi come in un ossimoro l’artista si fa forte della sua fragilità, e il titolo dell’album “Volevo essere un duro” non è messo lì a caso. Una fragilità che comprende anche la scrittura musicale: le sue storie tra l’onirico e il fiabesco sono (troppo?) debitrici alle atmosfere del primo Ivan Graziani e dell’ Edoardo Bennato cabarettista di “Uffà!Uffà!”. Resisterà all’improvvisa celebrità? Ai posteri…
Si accennava alle autocelebrazioni: ecco Samuele Bersani e Luciano Ligabue. Il romagnolo di Cattolica è protagonista di uno scintillante live che ripercorre le tappe della sua carriera accompagnato da un agile orchestra sinfonica che dà spessore alle sue melodie sghembe ed il risultato è davvero godibile. Il rocker emiliano di Correggio si lancia in un imponente operazione nostalgia per i trent’anni di vita del suo album “Buon compleanno Elvis”: tra live e ‘demo’ di prossima pubblicazione, ecco l’uscita di un album “naked”, cioè la riproposizione solo voce e chitarra di quella gloriosa tracklist. Ligabue non è nuovo alle versioni acustiche del suo repertorio e confessiamo che sono quelle che ci piacciono di più.
E i Baustelle del titolo, si domanderanno gli spazientiti lettori di questo articolo?
“Tutto nasce dalla musica. A Milano, di notte, ho visto questa grande insegna: El Galactico (…) Mi fa pensare al Messico, alla California (…) ad un periodo musicale che va dal 1965 al 1967 (…) il primo disco dei Byrds,, il primo dei Doors, i Beach Boys che continuavano ad esistere e si evolvevano, i Mamas and Papas, i Buffalo Springfield, tutti con un suono scintillante e glorioso. Tutti portatori di uno struggimento solare.
Così presenta il nuovo disco il frontman Francesco Bianconi insieme a Rachele Bastreghi e Claudio Brasini il ‘nocciolo duro’ dei Baustelle. Il gruppo della provincia senese è in attività dalla metà degli anni ’90, fino a diventare un punto di riferimento per una platea sempre più vasta, che segue l’indie italiano, sfruttando nel loro repertorio le atmosfere vintage, da De André ai chansonnier francesi, da Bacharach alle colonne sonore dei B-movie italiani degli anni ’70, ma soprattutto al Battiato citazionista e pop delle hit parade dei primi anni ’80. Dai loro testi, spesso estremi, alla denuncia a loro volta, del volgare quotidiano, raccontano del malessere generazionale, pieni come sono di desolazione irrisolta, ma con l’insistita domanda sulla condizione dell’uomo moderno, che non esclude una ‘Presenza’ non visibile ma determinante nella vita quotidiana, nella continua lotta contro il sistema di potere che opprime.
Lo stesso Bianconi è un personaggio difficilmente catalogabile, un autore che musicalmente non disdegna il ritornello di facile ascolto, con testi ispirati ad un pantheon poetico nel quale si scorgono di volta in volta Boudelaire, Leopardi, Nietzsche, Montale, Pasolini, Testori, Eliot, addirittura Dante e … la Bibbia: dal male di vivere alle domande sul ‘silenzio di Dio’.
“El Galactico”, il loro nuovo album, continua su questa linea: forti sono gli echi del Battiato de “La voce del Padrone” (ascoltate “Pesaro” con gli echi di “Summer in the solitary beach” ) e “Spògliami” (“Non è più tempo da sparare al cielo, e mascherare il vuoto che si ha”) “L’arte di lasciare andare” (L’arte di lasciare andare è meglio di scopare. Forse il vero amore è questo volontario naufragare nella realtà. Se sapessimo soltanto dare per abbandonare senza più cercare di voler capire questa vita che senso ha”), “L’imitazione dell’amore” (“C’è una cattiva imitazione dell’amore che percorre il mondo, prende forma, è micidiale, e io non sento più canzoni nuove che raccontino di noi”).
Canzoni che, come le altre della tracklist, si potrebbero ascoltare trasmesse da una radio FM, negli anni ‘60 a bordo di un macchinone che percorre un’assolata corsia di un autostrada polverosa tra i canyon della landa californiana
“Noi siamo sempre stati così – continua Bianconi – facciamo canzoni che si interessano di problematiche sociali. Più che in altri dischi, però, effettivamente c’è una maggiore concentrazione sull’orrore di cui
siamo testimoni. Mi sono accorto del contrasto tra le tematiche e una musica più lucente. Forse con un sound così solare quei temi sono maggiormente in risalto o forse il tasso di orrore nel mondo è aumentato”.
L’orrore in cui si racconta dei meandri oscuri e terribili di una violenza sessuale ad una ragazzina, filmata e finita in rete (“Una storia”)
La desolazione della pornodiva (“La filosofia di Moana”) nel letto di ospedale, in attesa della morte, che riavvolge il nastro della sua vita, vissuta alla ricerca di una felicità surrogata nel sesso estremo dei film a luci rosse e negli sguardi nascosti e ipocriti dei benpensanti.
Ma c’è un’ultima canzone, “La nebbia”, una ballata orchestrale che sembra uscita dal “teatro-canzone” di Giorgio Gaber, sia per la struttura musicale, sia per la voce profonda di Bianconi che si confonde con quella del genio milanese:
“Tu sei la mia vita, sei calata come nebbia. Cancellando la realtà, che è troppo triste e mi fa male (…) che da millenni mi fa orrore (…) nel tuo cuore perdersi fa bene”.
Alla fine “El Galactico” è un lavoro discografico interessante e che conferma quello che scriveva proprio sulle pagine del Sussidiario, nel 2017, Luca Franceschini:
“Probabilmente si tratta davvero di una band per 35 -40enni: la band per una generazione che arrivata all’età adulta e che si è resa conto che qualcosa è andato storto, che quell’età adulta non è come se la immaginavano, che ci sono problemi che non avevano calcolato e che non capiscono e quindi sarebbe meglio gettarsi alle spalle le responsabilità e tornare adolescenti per qualche tempo.
Quindi, musica per una generazione che ha smarrito la direzione.”
Che, cioè, denuncia impotente l’orrore quotidiano, (“Il tentativo di cercare di dare un senso a questo nonsenso” dice ancora Bianconi) senza però aprirsi ad una ’bellezza’ possibile, rimanendo attoniti, come sospesi: un puro esercizio nichilista.