Il tanto sospirato taglio dei tassi d’interesse è arrivato. Non è granché: un quarto di punto che porta il tasso di riferimento al 4,25% con un’inflazione nell’area euro che a maggio ha segnato un +2,6%. “La Bce non ha ancora vinto l’inflazione”, proclama il governatore della Banca centrale austriaca Robert Holzmann, che giovedì ha votato contro e ha tenuto a farlo sapere. Per certi versi ha ragione, perché l’inflazione l’ha vinta il mercato. L’aumento dei prezzi in Europa è stato provocato soprattutto dal rincaro del gas e, in minor misura, del petrolio. È cominciato con il boom post-pandemia, ma è schizzato davvero in alto dopo l’invasione dell’Ucraina. Le quotazioni di gas e petrolio sono crollate quando i Paesi dell’Eurolandia che erano più dipendenti dalla Russia si sono sganciati (l’Italia per prima e in modo più consistente, seguita dalla Germania). Così s’è innescata una frenata più brusca del previsto.
A voler essere pignoli potremmo dire che la Bce ha aumentato i tassi una volta che i buoi erano scappati e li riduce solo in piccola parte quando sono ormai rientrati nella stalla. Una politica monetaria che non anticipa, né guarda al futuro, ma posticipa e si basa su quel che accaduto nel recente passato. Madame Lagarde insomma è l’esatto contrario del professor Draghi. Si dirà che la situazione è diversa e, dopo l’era dei tassi negativi, era ora di tornare alla normalità. Ma è normale un costo del denaro superiore di due punti all’andamento dei prezzi?
Rileggiamo quel che ha detto il governatore Fabio Panetta nelle sue Considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia il 31 maggio scorso: “L’orientamento monetario rimarrebbe restrittivo anche con più tagli dei tassi attuali: il livello atteso dei rendimenti reali desumibile dai mercati finanziari, che pure incorpora una riduzione dei tassi di 60 punti base nel corso del 2024, rimane per molti mesi superiore a qualsiasi stima plausibile del tasso naturale”.
Ma che cos’è il tasso naturale? Il governatore ha riesumato una nozione che risale addirittura al 1898 e si deve all’economista svedese Knut Wicksell, il quale lo definisce come “il tasso teorico compatibile con un livello del prodotto pari a quello potenziale e con un’inflazione in linea con l’obiettivo della banca centrale”. Dunque, Panetta dice che di qui alla fine dell’anno la Bce potrebbe ridurre i tassi dello 0,6% portandoli al di sotto di quota 4%, ma nonostante ciò il costo del denaro resta superiore all’obiettivo inflazionistico fissato (il 2%) e non è tale da favorire una crescita del prodotto lordo coerente con le capacità e possibilità dell’economia. Insomma, anche tagliuzzando di qua e di là, la stretta resta.
Un economista sempre molto critico come Donato Masciandaro ha scritto sul Sole 24 Ore che “purtroppo quella di Francoforte è una rondine che non fa primavera”. La presidente Lagarde potrebbe replicare che è solo l’inizio e si deciderà mese dopo mese. Ma questa strategia dei piedi di piombo rischia di impiombare l’economia dell’Eurolandia che cresce molto meno di quella americana e, stando agli ultimi dati, anche di quella cinese, in ripresa dopo le sberle della pandemia e della crisi immobiliare.
A differenza di Draghi, Lagarde si è basata sulla formula “no-forward guidance”, cioè nessuna indicazione sulle scelte future: non sta alla banca centrale suscitare aspettative. Ma la realtà è che la vita intera, non solo quella economica, è guidata dalle attese di quel che verrà, fra poco, domani, dopodomani. Dire che non si punta sulle aspettative suscita aspettative per lo più negative, è un circolo vizioso al quale non si sfugge. Così, la decisione presa giovedì e le parole dette dalla presidente Lagarde alla conferenza stampa hanno confermato una certezza (la politica monetaria resta restrittiva) e hanno suscitato la speranza che, nonostante tutto, a settembre la congiuntura non peggiori, grazie ai mercati non alla Bce.
Come si vede dalle borse, dai bilanci delle imprese e da quelli delle banche che hanno potuto aumentare la forbice tra tassi attivi e passivi, circola una grande quantità di denaro liquido alla ricerca di impieghi fruttuosi. La legge base della domanda e dell’offerta ci dice che il costo del denaro sul mercato non può che scendere. In questa fase la prudenza è davvero troppa e rischia anch’essa di trasformarsi in imprudenza creando inutili difficoltà per gli impieghi produttivi del denaro.
Coraggio Madame Lagarde, non si limiti a fare l’arbitro tra cicale e formiche, prenda la guida, si convinca che è ora di mollare le redini e convinca gli incerti, i riluttanti, i timorosi. Si prenda qualche rischio in più. Per esercitare la leadership non bastano bei foulard, eleganti tailleur e un linguaggio forbito. Lei che è passata dall’avvocatura alla politica per diventare regina di denari, getti il cuore oltre l’ostacolo. Le elezioni finiscono oggi e la propaganda dei partiti ha creato una cortina fumogena, ma, sia pur nascosti dalle parole, i problemi dell’Unione Europea restano seri come e forse ancor più di prima.
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