Le verità svelate da Mori e De Donno in Commissione Antimafia "silenziate" dalla mala-giustizia della teoria sulla Trattativa: la denuncia di Gasparri

“IN COMMISSIONE ANTIMAFIA RIBALTATA LA MALA-GIUSTIZIA DELLA TRATTATIVA STATO-MAFIA”: PARLA GASPARRI

Sarà per il periodo elettorale complesso, o ancora per gli scenari internazionali preoccupanti, ma quanto emerso negli scorsi giorni con le audizioni del generale Mario Mori e del colonnello Giuseppe De Donno in Commissione Antimafia non hanno avuto l’eco che – ad esempio – in passato hanno avuto, decuplicato, le tesi e le teorie della presunta “Trattativa Stato-Mafia”. In una lettera a “Libero Quotidiano” è il componente in quota Forza Italia in Commissione, Maurizio Gasparri, a ravvisare il mancato clamore per quello che i due ex investigatori collaboratori del giudicio Borsellino hanno (nuovamente) rivelato sulla orribile Strage di Via d’Amelio a Palermo.



Quel “nuovamente” non lo diciamo a sproposito ma proprio in forza del fatto che Mori e De Donno non si sono “svegliati” oggi per raccontare qualcosa di 30 anni più indietro: semplicemente, dopo essere stati finalmente riconosciuti come innocenti in ogni ordine di grado e di giudizio – e dopo una lunghissima stagione di processi e veleni contro la loro persona – Mori e De Donno hanno ripetuto quanto già avevano raccontato all’epoca delle stragi in merito alle inchieste che stavano svolgendo per i giudici Falcone e Borsellino. Il problema è che all’epoca dei fatti tra la sottovalutazione, clamorosi errori di superficialità e – forse – un “dolo” nel voler insabbiare alcuni elementi – la loro verità non fu ascoltata.



E così si rischia di vedere anche oggi, dopo le tonanti rivelazioni fatte in Antimafia dove ancora una volta le reazioni della parte più spinta sul giustizialismo nel Centrosinistra preferiscono puntare l’indice contro gli ex militari in congedo che non considerare un’effettiva ombra lunga che prosegue dalle stragi di mafia fino ai vari insabbiamenti: sebbene oggi Mori, De Donno e anche il compianto generale Surbanni siano stati assolti da ogni accusa di aver “trattato” con Cosa Nostra, si preferisce seguire le tesi dei pm Di Matteo, Scarpinato e Cafiero de Raho (quest’ultimi due parlamentari del M5s, ndr) piuttosto che provare a indagare sulla verità.



COSA EMERGE DALLE RIVELAZIONI DI MORI E DE DONNO E PERCHÈ SONO IMPORTANTI (PER DAVVERO)

L’obiettivo della Commissione Antimafia nell’inchiesta sulla Strage di Via d’Amelio è però convocata proprio per provare a dare un nome diverso a troppi elementi “oscuri” sulla morte del giudice Borsellino, a cominciare da quel dossier “Mafia Appalti” che secondo Mori e De Donno sarebbe il vero motivo per cui la mafia siciliana avrebbe ordinato l’esecuzione del magistrato. I nomi fatti durante le audizioni (da Pignatone a Lo Forte fino ad altri procuratori dell’epoca a Palermo) sono accompagnati da un corredo di documenti e spiegazioni fatte in maniera puntigliosa dal generale e il colonnello in audizione: «Nei confronti di costoro sono state dette cose molto pesanti che sono agli atti, ma che nessuno riporta», scrive Gasparri nella sua lettera di denuncia su “Libero”.

La tesi in sostanza è che Borsellino (come probabilmente anche Falcone poche settimane prima) sia stato ucciso proprio perché stava indagando sull’inchiesta Mafia Appalti: nessuna “trattativa”, semmai il contrario, dopo il maxi processo e i colpi mortali contro la cupola di Cosa Nostra è per quel dossier di legame con la politica che sarebbe scattata la “condanna a morte” dei magistrati. Nel 1992, pochi mesi dopo la morte di Borsellino, quell’inchiesta sugli appalti venne archiviata in maniera vergognosa, sostengono Mori e De Donno: ebbene, a firmare (non solo lui, ndr) quell’archiviazione ci fu anche l’allora magistrato Scarpinato che in Antimafia si è difeso dicendo che si trattava di un’azione parziale prima di riprendere anni dopo le indagini.

Ancora i due militari hanno spiegato che, al netto dell’errore di aver archiviato l’indagine, sono le conseguenze negli anni ad aver ingigantito un vulnus tutt’altro che marginale: in sostanza, De Donno con Mori sostengono che da quelle indagini si poteva risalire ad alcune imprese del nord-Italia con possibili legami anche con la politica. Come spiega Gasparri, «fare come fa Ranucci con Report parlando di piste nere sulla Strage di Via d’Amelio e Capaci è un delirio», tra l’altro già archiviato dalla Procura di Caltanissetta qualche anno fa.

Il senatore di FI si chiede perché si preferisce ancora ascoltare a livello mediatico tesi come quelle di Scarpinato o dello stesso Report, facendo ancora passare come “cattivi” sia De Donno che Mori che lo stesso Subranni: esiste un «concorso corale» di vari protagonisti della «mala giustizia» che si trasforma oggi in «mala informazione», conclude Gasparri difendendo i carabinieri del ROS che combatterono la vera mafia con Borsellino e Falcone, vittime invece di «collusioni nel Palazzo di Giustizia di Palermo»