Sarà capitato molte volte a Franco Curioni, Presidente della Lega Nazionale Pallacanestro e dell’Assigeco di Casalpusterlengo, di brindare e gioire delle prodezze di Danilo Gallinari, con l’amico di famiglia Vittorio, padre della giovane stella dell’Nba. Mentre attendiamo di parlargli, in questa intervista concessa a ilsussidiario.net, rimaniamo colpiti dalla “musichetta” di sottofondo: è la Traviata di Verdi nel momento in cui i commensali alzano i calici e brindano gioiosamente. Curioni, quando parla del suo basket, lo fa con le parole dell’appassionato e dell’imprenditore lungimirante, di chi ancora ha il coraggio di investire sui giovani e sulle sfide. Gallinari e Aradori, per citare i più conosciuti, sono due scommesse che ha vinto. Chiede a Meneghin di «tenere in considerazione il movimento cestistico dei dilettanti, il vero futuro per il basket italiano» e sul progetto, arenato, di fondere i settori giovanili di Milano e di Casalpusterlengo, creando un vivaio unico nel suo genere dice: «Il progetto c’è. Aspetto una chiamata di Proli per ripartire. Ma già altre società di A si sono fatte avanti, interessate. I nomi? Top secret».
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Grande imprenditore, presidente appassionato e vincente: una delle classiche “eccellenze italiane”. Chi è Franco Curioni?
Troppi complimenti. In questi momenti l’è mei vula bass… (e ride). A parte gli scherzi. Non bisogna mai montarsi la testa. Se ho fatto qualcosa, c’è chi ha fatto molto più di me. Ho iniziato prendendo il treno la mattina presto per venire a Milano. Qui è la mia vita, sono cresciuto in questa città, maturando passo dopo passo. Ho la consapevolezza e l’umiltà di dire di non essere arrivato da nessuna parte. Quello che uno costruisce è molto effimero. Lo ha detto ieri anche il Papa parlando della crisi. Ho avuto fortuna e anche successo, mi sono impegnato e qualcosa ho costruito. Ma non mi monto assolutamente la testa.
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Stesso metodo applicato anche nel basket, un lavoro portato avanti a piccoli passi…
Uguale e identico. L’amore per il basket è un amore vero, disinteressato, a volte non ben corrisposto: si dà molto, ma si riceve poco. Sono un imprenditore come altri che mette soldi, cuore, impegno, con quella grande passione che porta avanti il mondo della pallacanestro. Questo mondo si scontra con quelli che hanno un potere costituito, posizioni di rendite, monolitiche, quelle che gli inglesi chiamano “take advantage”. Chi dà, come me, lo fa in maniera disinteressata. Sono partito da zero costruendo, con un gruppo di amici, una squadra, mosso dall’amore per la mia gente. Siamo saliti dalla prima divisione fino ad arrivare alla serie B. Con tanto impegno, anche economico.
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Tutti parlano di ripartire e investire sui giovani. Lei sembra essere uno dei pochi che lo fa realmente. Si vedono pochi giovani anche nei rooster di Serie A…
Le squadre di A hanno una logica professionistica: devono fare i bilanci, rispettare le regole e non tutti, come visto in questi giorni, lo fanno. Dico solo che imporre i giovani nelle serie professionistiche è un “nonsenso” economico. Il mercato non prende i giovani perché i giovani non ci sono come offerta. Devono guardare ai bilanci e all’Eurolega, prendono un giocatore italiano di valore se nel rapporto qualità/prezzo è a livello degli americani. Se no non possono. Non ha senso che la Federazione obblighi a far giocare gli italiani. Deve far sì che il movimento della pallacanestro italiano produca giocatori, tanti giocatori che possano essere competitivi rispetto agli americani. Se lo statunitense costa 30mila dollari, l’italiano non può costarne 80mila, se no l’imprenditore non lo prende. Se gli italiani hanno talento e il prezzo è proporzionato i presidenti comprano. Ma bisogna trovare un sistema virtuoso che produca giocatori e chi lo può fare è solo ed esclusivamente il movimento di base. Noi produciamo giovani talenti e la Serie A li consuma: questa è la logica da seguire.
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Ritorna cosi la sua proposta. I professioni investono 3/4 milioni di euro a stagione e in 3 anni dai dilettanti usciranno 30 giovani di qualità. E’ ancora fattibile anche con il neo commissario Meneghin?
Rimane tutt’ora valido, che ci sia Meneghin o qualche altro. La proposta è delle Leghe che si devono trovare e discutere di questa tematica generale che investe il basket. Questo può farlo solo chi investe nel basket. La federazione vuole più giovani? Ragioniamo e troviamo la soluzione. Noi come leghe maschile e femminile rappresentiamo l’80% del movimento economico della pallacanestro e dunque non possiamo non essere tenuti in considerazione. La federazione deve guardare a chi investe e a chi produce, a chi mette e a chi riceve i soldi. Se no si arriva al caos e alla moria di società per la mancanza di chiarezza, regole e progetti. La mia idea è ampiamente condivisa dalla Lega A1. Naturalmente con un progetto comune lineare e chiaro.
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Aveva accennato al modello spagnolo…
Più che parlare di modelli di altre nazioni parlerei di un programma per l’Italia. La A dilettanti deve essere equiparata a quello che in America è la NCAA. Società radicate sul territorio che lavorano lì dove reclutano, preparano e creano giocatori che sono pronti a giocare in serie professionistiche. Faccio notare che il movimento economico NCAA non è ricco come la NBA, ma è molto radicato ed è il vero patrimonio cestistico della nazione americana. C’è anche la possibilità massmediatica di creare un grosso movimento. Ieri ad esempio Sportitalia ha fatto 4 dirette contemporaneamente. Nessuno fa questo in chiaro. Si crea così un movimento, una catena virtuosa che semina, cresce, produce e se uno è bravo finisce in serie A, se no rimane nei dilettanti. Danilo Gallinari, prodotto di casa mia, era buono a 15 anni, a 16 anni e a 17 era a Milano. E 20 in NBA. Se investiamo i risultati arrivano sicuramente. Con l’idea che la base produce per il vertice.
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Ha parlato di Gallinari. E’ deluso di non vederlo in Italia o è felice della scelta americana?
Lo vedo ogni giorno in Skype con suo papà Vittorio. Siamo amici da una vita. Poteva andare anche fra 3 anni ma è stato meglio così, avrà tempo di adattarsi alla realtà. Danilo ha la testa di un uomo di 40 anni col corpo di uno di 20. Ha fatto bene ad andare e fa sempre a tempo a tornare. Non ha scelto per i soldi ma perché lo volevano.
Se rimaneva qui cosa imparava?
Danilo è un giocatore che se rimaneva in Europa doveva andare al CSKA Mosca per imparare qualcosa di nuovo e migliorarsi. Deve giocare tra i migliori. E i migliori non sono in Italia. L’unico errore che imputo a Danilo è di essere andato a Pavia quando poteva fare un altro anno in B1 da protagonista. Ma questo è passato remoto…
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L’avvicinamento a Milano. Prima le voci di una cordata con lei possibile presidente, poi il progetto di fondere il settore giovanile dell’Olimpia con quello di Casalpusterlengo…
Di cordate non ce ne sono state. Non mi interessava entrare nel Cda dell’Olimpia. Mi è stato chiesto se ero disponibile a lavorare a un progetto sulle giovanili, con un bacino comune e unico in Italia. Una sinergia industriale. La società di Serie A che pensa a far bene in campionato e Eurolega e noi che curiamo e facciamo crescere i giovani da portare nei professionisti.
Ma si è arenato? Perché?
Il mio progetto va comunque avanti. Adesso non con Milano, forse con altre società di serie A ma i nomi non li faccio. Sono comunque sempre pronto a sedermi ad un tavolo con Proli e discutere. Questo progetto piace anche ad altre società di serie A che dicono: se a Milano non interessa, ci sediamo noi a un tavolo con te. Se Milano ha un’altra filosofia la rispetto, ma il mondo non finisce a Milano.
Un giudizio finale sul campionato che partirà domenica?
Un passo sopra tutti c’è Siena, imbattibile. Sotto un lotto di squadre forti come Roma, Milano, Bologna sponda Virtus e Treviso che si giocano dal secondo al quinto posto.