SCONTRI ULTRAS/ Da Superga alla follia dell’Olimpico: le due facce dello stesso calcio
Dai calciatori del Genoa costretti a sfilarsi le maglie fino alla farsa di Salernitana-Nocerina. Il calcio, spiega SANDRO BOCCHIO, non è però solo questo: basti pensare al Grande Torino…

Se avete un attimo di tempo, provate a rivivere due momenti attraverso il racconto delle immagini. Prendetevi qualche minuto e navigate su internet, senza perdervi in gallery di gattini coccolosi e shopping di pseudostar. Il primo momento è legato a quanto si è vissuto a margine della Coppa Italia: i sanguinosi scontri intorno all’Olimpico, i disarmanti dialoghi allo stadio, il ruolo di controparte riconosciuto ai caporioni della curva per ottenere il permesso di giocare. Il secondo è legato a quanti – ancora una volta – sono saliti a Superga per rendere omaggio al Grande Torino, morto 65 anni fa in un incidente aereo su quella collina. Un episodio che appartiene innanzitutto alla storia granata, ma che non lascia indifferenti i tifosi di altre squadre: leggetevi i post e capirete parecchio, insieme con le foto che raccontano la giornata della marea di gente che annualmente si raduna da quelle parti. Un contrasto stridente, con quanto visto a Roma. Ancor più perché temporalmente vicino, e che segna la distanza tra due mondi destinati a non dialogare.
Perché chi ha voluto che capitasse quanto successo nelle ore immediate la finale non ha e non può avere contatto con chi pensa che il calcio sia ancora una questione di cuore. Non è una novità. Parliamo di gente che sfrutta le curve per affari legati alla criminalità, organizzata o no che sia, e che ritiene di poter comandare incontrastata, decidendo dei destini delle società. La novità è che qualcuno ancora si meravigli che ciò accada, con lo stesso stupore che si dipinge sui volti dei giocatori quando viene assegnato un rigore per una trattenuta in area. Come se i segnali non si fossero mai registrati in tal senso. Le immagini dei calciatori del Genoa costretti dagli ultrà a sfilarsi le maglie sono ancora fresche nella memoria, la farsa di Salernitana-Nocerina sospesa per mancanza di numero legale in campo è materia di quest’anno, come le squadre costrette a giustificarsi di fronte ai signori della curva: neanche il Milan si è potuto sottrarre. E poi i pullman presi a sassate, il razzismo sempre in agguato, le coltellate varie, le bombe carta introdotte negli stadi senza colpo ferire, tutti prodotti del campionario osceno che caratterizza il nostro calcio. Certo, da altre parti non è tutta serenità. Basti ricordare il tifoso ucciso prima di Helsinborg-Djurgarden nella multietnica Svezia, da sempre portata a modello di civiltà. La conferma che alla base di ogni scelta, anche (e soprattutto) violenta, c’è sempre la libertà dell’uomo e che le leggi – come il contesto ambientale – non possono risolvere i problemi di una società civile.
Il guaio, piuttosto, è che da noi le poche valide regole esistenti vengono puntualmente disattese. Nella vita di tutti i giorni stiamo assistendo alla dittatura delle minoranze violente nei confronti di una maggioranza silenziosa. Avviene nei cortei, in cui si attende soltanto la scintilla giusta per far scattare gli scontri, come capitato a metà aprile a Roma oppure come si vede regolarmente a Torino, in cui la causa No Tav è divenuta foglia di fico utile per giustificare gli assalti a persone e cose. Una terra di nessuno in cui si è confinato anche il calcio, pronto ad autoassolversi di fronte a ogni tipo di osservazione. Si ripete a oltranza che così non si può andare avanti e poi, alla fine, conta solo accapigliarsi intorno ai diritti tv. E se Cesare Prandelli prova a dare un codice di comportamento all’Italia, allora partono i sorrisini. L’esatto contrario di quanto avviene da altre parti, dove la Nazionale è un valore e le partite un bene da proteggere. Usano le leggi, quando necessario: i due tifosi arrestati in pochi minuti dopo aver lanciato un fumogeno contro un guardalinee in Aston Villa-Tottenham a ottobre oppure quello bandito a vita dallo stadio per la banana gettata a Dani Alves in Villarreal-Barcellona. Sfruttano il prodotto perché diventi fonte di ricchezza, sia per avere squadre vincenti sia per investire nei vivai. Infine costruiscono stadi per dare solidità alle società e comodità/sicurezza ai propri tifosi. E noi a guardare, in attesa del prossimo fatto da condannare con inesorabile fermezza che, vista da vicino, puzza sempre di immobilismo.
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