Il campionato di Serie A 2014-2015 è finito. I verdetti erano noti da tempo, almeno la magglor parte di essi; la Juventus vince il quarto scudetto consecutivo e va direttamente in Champions League con la Roma, la Lazio è terza e vola al playoff, Fiorentina e un deluso Napoli sono in Europa League aspettando il verdetto definitivo sulla licenza UEFA del Genoa che però dovrebbe lasciare strada alla Sampdoria. Al termine di 38 giornate appassionanti, abbiamo dato i voti alle venti squadre del campionato; tenendo conto ovviamente non solo della classifica ma, insieme ad essa, di quelle che erano le previsioni e le possibilità alla vigilia.
Quello che doveva fare lha fatto: la salvezza era lobiettivo unico della squadra, e lha raggiunto con due giornate di anticipo. Tuttavia, vista la rosa, la sensazione è che si potesse e dovesse fare di più: Denis è sempre stato una garanzia, Maxi Moralez nel 2011 era stato il grande investimento per far fronte alla penalizzazione, Alejandro Gomez a Catania aveva fatto la differenza, Cigarini è rimasto e in più a gennaio è arrivato Pinilla. Nonostante ciò lAtalanta chiude con il quartultimo attacco del campionato, lesonero di un simbolo come Colantuono e tanti dubbi. Che Denis potesse calare (dopo tutto ha 33 anni) ci poteva stare, non che la Dea palesasse limiti caratteriali e di gioco, soffrendo in una stagione in cui la quota salvezza si è abbassata. Restano le note liete Sportiello e Zappacosta (oltre alla conferma di Baselli), ma lanno prossimo bisognerà fare meglio di così.
Resta la grande domanda a retrocessione avvenuta: il gruppo non era allaltezza o Zeman ha fallito? Di certo nemmeno Zola ha fatto troppo meglio (anzi), ma il tema è destinato a far scontrare a lungo gli amanti del Maestro boemo e i suoi detrattori. Di certo alcuni acquisti sono stati sbagliati: Longo non ha mai reso, Farias è un ottimo giocatore ma non un trascinatore (è discontinuo), il ballottaggio dei portieri nella prima parte di stagione è stato un pianto. Festa ha provato a rattoppare una situazione che rattoppare non si poteva più; peccato, forse con meno rigidità nel modulo si sarebbe potuta raggiungere la salvezza. Il gruppo può fare benissimo in Serie B e merita unaltra occasione; Donsah e Joao Pedro sono gli aspetti positivi (con Crisetig, che però si è perso nel 2015), Marco Sau la grande delusione anche per via degli infortuni, il presunto diverbio con i tifosi (metà smentito e metà confermato dal presidente Giulini) la pagina oscura che riassume la stagione, con ritorno in Serie B dopo 11 anni.
Lorgoglio non basta quando i mezzi sono limitati: Mimmo Di Carlo ci ha provato fino allultimo investendo sul talento del veterano Brienza, sui gol di Defrel (per distacco la nota più positiva della stagione) e sul talento del giovane Leali (così così, alla fine ha anche perso il posto), ma se non si hanno le fondamenta la cattedrale non si erigerà mai. Così è stato il Cesena: una squadra troppo limitata nella rosa (tante scommesse che non hanno pagato) e partita ad handicap con una vittoria e sei pareggi nel girone di andata. Pensare di girare lannata nelle 19 partite di ritorno era chiedere troppo: non che non ci si sia provato (vittoria contro la Lazio, pareggi contro Inter e Juventus), ma era troppo tardi. Il Cesena torna in Serie B dopo un anno, stavolta il miracolo del 2011 non è riuscito: allora cerano i Giaccherini, i Parolo e gli Appiah, certamente di altro livello rispetto ai giocatori di oggi.
Un altro mezzo miracolo: dal 2001 il Chievo parte con budget limitato e pronostici contrari, e solo una volta ha conosciuto la retrocessione (tornando subito al piano di sopra). La salvezza è passata attraverso lesonero (di nuovo) di Eugenio Corini, ma da lì in avanti è stato tutto un crescendo: nonostante la pesante cessione di Théréau i veneti sono riusciti a trovare la quadratura del cerchio, trovando i gol di Paloschi e delleterno Pellissier, la sorpresa Zukanovic (in odore di Inter) e una mediana nella quale Izco e Radovanovic hanno fatto ampiamente il loro dovere. Salvarsi con il peggior attacco della Serie A (28 gol, meno di uno a partita) non è scontato: ci si riesce se si ha la quarta miglior difesa, e non è la prima volta che la ricetta funziona in questo modo – a dimostrazione che il catenaccio bisogna saperlo fare. Per la quattordicesima volta nelle ultime 15 stagioni il Chievo giocherà in Serie A: chapeau, con una sola domanda. Davvero Bardi, relegato presto in panchina, avrebbe fatto tanto peggio di un comunque ottimo Bizzarri?
Mezzo voto in meno perchè i 46 gol non rendono giustizia alla mole di gioco creato; ma la stagione dellEmpoli è stata strepitosa. La sofferenza vera non cè mai stata; Maurizio Sarri, esordiente in Serie A a 55 anni, ha espresso un calcio divertente e propositivo, tra i migliori del campionato; Valdifiori è stato il centrocampista più continuo dellintero campionato per rendimento – si è guadagnato la Nazionale a 28 anni – Rugani ha dimostrato di essere pronto per la Juventus, Verdi e Matias Vecino si sono rivelati giovani con tanto futuro e in generale tutta la squadra ha stupito gli addetti ai lavori. Tanto che ora si parla di Sarri come papabile sostituto di Montella a Firenze, di Valdifiori in ottica Napoli e di tanti giocatori che possono ambire a palcoscenici più prestigiosi. Il difficile viene ora: la grande annata cè stata, dalle scelte estive dipende lavvenire di questa squadra.
Eterna incompiuta, si potrebbe dire così. Dal 2012, anno dellarrivo di Vincenzo Montella, la Fiorentina sogna in grande: qualificazione in Champions League, scudetto, vittoria dellEuropa League. E finita con il terzo posto sfumato per il terzo anno consecutivo, con unamarissima (e netta) eliminazione europea ad un passo dalla finale di Varsavia, con la finale di Coppa Italia solo sfiorata. Passino gli infortuni (Giuseppe Rossi ha saltato tutta la stagione, Mario Gomez e Bernardeschi buona parte, Babacar cè stato e non cè stato), ma la squadra è stata troppo discontinua, alternando prove straripanti a sconfitte sconcertanti. Da applausi larrivo di Salah, ma anche qui ci sta lappunto: forse sarebbe stato meglio vendere Cuadrado in estate, rinverdendo il progetto a bocce ferme e mettendo una pezza alla fragilità offensiva (dei problemi fisici dei potenziali titolari si sapeva). Montella è probabilmente al passo daddio: tre anni stupendi, ma con la nota stonata sul fondo.
La brutta storia della mancata licenza UEFA (per ora) non è certo colpa dei giocatori o di Gasperini; e allora il voto alto ci sta tutto per un Genoa che ha avuto un rendimento pazzesco e ha saputo addirittura aumentare landatura nel finale di stagione, quando solitamente la salvezza raggiunta fa calare molte squadre (lo stesso Grifone un anno fa). Che Gasperini sia allenatore da big è ormai una certezza: lInter forse non lha capito o forse il momento era sbagliato. A Preziosi importa poco: lui si gode un Genoa capace di sfidare le grandi del nostro campionato, arrivare davanti alle milanesi e proporre uno straordinario calcio offensivo. Diego Perotti (complimenti a chi ci ha creduto nonostante i tanti infortuni) e Iago Falque sono i picchi di una grande annata, Niang era partito a razzo ma poi si è un po perso, Pavoletti ha dimostrato che in Serie A ci sta eccome. A conti fatti a Borriello si sarebbe potuto rinunciare, ma resta un dettaglio che non ha inficiato nulla; non dovesse arrivare lEuropa League sarebbe un gran peccato.
Se il tuo allenatore, chiamato a risollevare una squadra in difficoltà, dichiara il 15 marzo di aver fallito l’obiettivo (il senso era quello), significa che le cose sono andate sul serio in declino. La stagione 2014-2015 dell’Inter è deludente: dopo il quinto posto dello scorso maggio si aspirava al terzo posto, e invece Walter Mazzarri ha rapidamente perso il bandolo della matassa. Roberto Mancini è tornato quasi per acclamazione popolare ma non ha cambiato nulla: anzi, la media punti è stata inferiore a quella del suo predecessore. Da salvare resta poco: la consacrazione di Mauro Icardi – capocannoniere del campionato a 22 anni – sicuramente, la crescita di Kovacic anche. Per contro, la campagna acquisti di gennaio non ha inciso e l’augurio quantomeno è che Shaqiri sia stato tenuto in naftalina per la prossima stagione, quando si tornerà al 4-2-3-1 e lui potrà fare la differenza partendo dall’esterno anziche essere costretto a stringere centralmente. Resta l’esclusione dall’Europa, e questo è un dato con il quale volenti o nolenti bisogna fare i conti.
Il voto riguarda esclusivamente il campionato; tuttavia non si può non dire che la Juventus ha vinto il suo quarto scudetto consecutivo nell’anno in cui ha finalmente conquistato la decima Coppa Italia e tra 5 giorni si gioca il grande sogno Champions League. Restiamo comunque in Italia: il campionato non ha mai avuto storia. Dopo la vittoria nello scontro diretto contro la Roma, i bianconeri hanno preso il largo e non si sono più voltati indietro. D’accordo, i 102 punti dell’anno scorso non li hanno nemmeno avvicinati, ma si sapeva già; il dominio è stato schiacciante comunque (ancora +17 sulla Roma), nonostante qualche battuta d’arresto. Ottimo l’inserimento di Pereyra e Sturaro (da gennaio), addirittura migliorato il rendimento di Tevez, decisivo l’innesto di Morata che si pensava potesse soffrire la concorrenza e adesso è imprescindibile. Trovare nei a questa cavalcata è come cercare l’ago nel pagliaio, scuserete la banalità del paragone; se vogliamo, Llorente non si è confermato, ma siamo ai dettagli. Allegri, insultato e sbeffeggiato a luglio, ha chiuso con il suo nome urlato da 40 mila persone e un’ovazione infinita: a Berlino può addirittura entrare nella leggenda.
Poco da dire: partiva dal nono posto dello scorso anno con un allenatore nuovo, senza esperienza in grandi piazze e con tante incognite. Ha chiuso terza vincendo lo scontro diretto a Napoli: va in Champions League (in attesa del playoff) con pieno merito, per il gioco mostrato e per la grande personalità. Sembrava sulle gambe dopo aver perso, nel giro di sei giorni, finale di Coppa Italia e derby per il secondo posto; la rinascita nell’ultima giornata, dopo la rimonta subita e l’uomo in meno, racconta tutto di un gruppo che può crescere ancora, magari andando a giocarsi lo scudetto con qualche innesto. Secondo miglior attacco, quattro giocatori in doppia cifra di gol: un piccolo capolavoro che il calo primaverile non ha inficiato.
Ancora meno dell’Inter, per un destino comune: l’anno che avrebbe dovuto simboleggiare la grande rinascita è stato invece vissuto come un calvario. Fuori dall’Europa per la seconda stagione consecutiva, mai una serie lunga di risultati positivi, un paio di prestazioni davvero convincenti e nulla più, tanti giocatori sotto il par (da Cerci a Destro, alla difesa in generale); gli ottimi Diego Lopez e Menez non potevano girare la frittata da soli. Inzaghi saluta dopo una sola stagione: era il nome forte della società, finisce appiedato come Seedorf prima di lui, con rapporti decennali incrinati e una carriera da ricostruire prima ancora che fosse iniziata. Volendo riassumere il tutto in un concetto, al Milan è mancata la programmazione: da capire quanto l’assenza di Silvio Berlusconi abbia influito sulle faide interne tra Galliani e la figlia Barbara, e sulle scelte tecniche. Anche il capitolo della cessione societaria è un punto interrogativo: si fa o no? Prima lo si capirà, meglio sarà per un Milan che per tornare grande nell’immagine internazionale non può prescindere dai risultati sul campo.
Un’altra grande delusione. Partiva per vincere tutto: di sicuro lo scudetto e la Coppa Italia, e magari l’Europa League. Finisce senza stringere nulla, senza mai essere stato davvero in corsa in campionato. Lo diciamo come provocazione, ma anche con una punta di verità: se le energie spese nel protestare per qualche (effettivo e reale) torto arbitrale fossero state messe sempre sul campo, forse oggi le cose sarebbero diverse. Può una squadra con Hamsik, Higuain e Callejon, con Insigne e Mertens e l’aggiunta di Gabbiadini a gennaio, arrivare a 24 punti dalla prima e chiudere quinta? No, ed ecco perchè il Napoli non può avere un giudizio positivo. Rafa Benitez saluta per tornare in Spagna: chiunque arriverà avrà un grande lavoro davanti a sè, quello di rendere davvero vincente un gruppo che ha smarrito la via e non ha mai trovato la giusta continuità per dare fastidio alle prime della classe. La sconfitta interna contro la Lazio è il simbolo di una stagione sciagurata che adesso rischia di avere tante ripercussioni sul calciomercato.
Il finale di stagione abbassa il voto: d’accordo la brillante salvezza, ma questo Palermo avrebbe potuto ritrovarsi nei piani alti della classifica e nella lotta all’Europa. Se non è andata così è perchè, ottenuto il traguardo principale, la squadra di Beppe Iachini si è seduta calando spaventosamente l’intensità, e ha accettato di perdere partite che normalmente avrebbe vinto. Resta la grande stagione di Paulo Dybala che, dopo Pastore, è un altro affare di Maurizio Zamparini che lo vende alla Juventus a peso d’oro; la crescita esponenziale di giocatori come Vazquez e Lazaar, l’esplosione in zona gol di Luca Rigoni. Adesso siamo a un bivio: un ciclo come quello 2004-2013, con tanto di presenza nelle coppe, oppure un ridimensionamento? Dovrà essere bravo il presidente a confermare la fiducia a Iachini e al suo staff, accettando – come ha fatto quest’anno – che ci possa essere qualche difficoltà in più.
Impossibile giudicare la stagione tecnica della squadra senza prescindere da quanto avvenuto dietro la scrivania; impossibile addossare le colpe di una retrocessione a giocatori e allenatori, che sono stati encomiabili fino all’ultimo. Senza voto dunque: Ghirardi e soci hanno lasciato macerie dopo il loro passaggio, l’affare Manenti è stato tragicomico sin dall’inizio, in campo qualcuno ci ha messo l’anima nonostante tutto mentre qualcun altro ha scelto di fare le valigie in anticipo. Chi aveva ragione? Non sappiamo: non si possono biasimare professionisti senza stipendio per mesi se hanno preferito accasarsi altrove. La speranza è che il Parma, che a suo modo ha segnato la storia recente del calcio italiano, possa riprendersi in fretta come la piazza merita. Ripartendo, se necessario, anche dal basso.
Forse il problema risiede nelle premesse: ripetere la stagione scorsa era impossibile. Con i punti del 2013-2014 (85) la Roma avrebbe vinto quattro degli ultimi otto campionati; purtroppo le è capitato di scontrarsi con una Juventus superiore. Gli aspetti positivi vanno cercati nella reazione rabbiosa che la squadra ha avuto dopo la crisi che sembrava poter aver ripercussioni devastanti; è stata comunque blindata la qualificazione diretta alla prossima Champions League con un finale in crescendo. Quelli negativi sono un po’ ovunque, dalla serie di pareggi di inizio 2015 al troppo nervosismo, da un Rudi Garcia che ha forse perso il bandolo della matassa all’affare Destro legato a tutta la campagna acquisti di gennaio. Resta il fatto che la Roma ha chiuso ancora al secondo posto, ed è una cosa che non si può dimenticare; così come non si può scordare che Castan e Strootman (oltre a Maicon) hanno saltato praticamente tutta la stagione. Il triste finale delle dichiarazioni di Garcia “smentite” dalla società ammanta di mistero l’estate a venire, ma sul campo la risposta della squadra dopo la crisi c’è stata e questo conta.
L’entusiasmo trascinante del presidente Ferrero ha dato vita a una stagione esaltante nella prima parte, ma poi in netto calo. Qual è la vera Sampdoria? Quella che ha sognato a lungo il terzo posto o quella che ha rischiato di perdere il sesto con un finale sciagurato? E’ probabile che le dichiarazioni di Mihajlovic, con l’addio a fine stagione annunciato in anticipo, abbiano influito in maniera negativa sul gruppo; ma va anche detto che gli acquisti di gennaio (Muriel e Eto’o) sono stati bravi ma non bravissimi, e che dopo qualche tempo la Sampdoria è involuta sul piano del gioco, ha sofferto la perdita di Eder e, venuta a mancare l’energia di inizio campionato, ha perso inevitabilmente smalto nella fase difensiva che era il suo fiore all’occhiello e il suo segreto. Il segno è positivo ma, viste le premesse e gli avversari traballanti, si poteva forse sperare in qualcosa di più. Mihajlovic si è detto giustamente orgoglioso dei suoi ragazzi; se Europa League sarà, qualche giocatore in più non farebbe male.
Il discorso è simile a quello fatto per il Palermo, con le debite proporzioni: peccato per la parte finale del campionato, questo Sassuolo avrebbe potuto essere più avanti in classifica. Stagione bellissima, con un gruppo imperniato sugli italiani (appena cinque gli stranieri, due arrivati a gennaio e ai margini delle rotazioni) e giovane (l’età media del tridente titolare è 22 anni). Gioco offensivo, spregiudicatezza, la fase difensiva messa a posto rispetto a un anno fa; Domenico Berardi ha confermato il suo valore, Zaza pur con tante pause ha garantito il suo bottino di reti, Missiroli e Magnanelli sono diventati protagonisti e leader di una squadra che per il terzo anno consecutivo giocherà in Serie A e che sì, ha alle spalle un patron come Squinzi e un marchio importante ma certamente non ha il blasone di altre piazze. Tanto di cappello e avanti così, senza snaturarsi: il miracolo si può ripetere.
Perdere Cerci e Immobile (35 gol in due) e ritrovarsi a lottare per l’Europa a 180 minuti dal termine non è indifferente. Un altro applauso al Torino, dopo la scorsa stagione; quest’anno le fatiche di coppa si sono fatte sentire e hanno fatto perdere smalto nei primi mesi della stagione, quando la squadra non segnava mai e difficilmente faceva risultato. Quagliarella si è confermato grande attaccante “di provincia”, azzeccatissimo l’acquisto di Bruno Peres (in arrivo una plusvalenza importante), meno quello di Amauri che ha dato poco alla causa, in calo El Kaddouri che però ha regalato lampi sparsi di genio. E poi il solito cuore Toro, che ha permesso di sforare ancora una volta quota 50 punti e vincere finalmente il derby contro la Juventus, a 20 anni dall’ultimo e dopo la grande beffa dell’andata. Ventura forse merita una grande, ma la sensazione è che stia benissimo qui: se resterà ci sono tutte le premesse per continuare la corsa, altrimenti è possibile che il presidente Cairo decida di rifondare.
Dopo una sola stagione termina l’era di Andrea Stramaccioni, si dice per disaccordi con la società. Campionato positivo, ma si sarebbe potuto fare di più; d’accordo che qualunque classifica oltre la salvezza era puramente accessoria, ma la sensazione che l’Udinese ha destato è stata quella di una squadra spesso in difficoltà, senza un’anima forte e riconoscibile e con tante contraddizioni. Tra cambi di modulo e di elementi i giovani non si sono fatti notare più di tanto; si arriva a giugno senza il gioiellino pronto per la plusvalenza, a meno che non si voglia prendere in esame la crescita di Widmer e, soprattutto, quella di un Allan che sembra effettivamente pronto per una grande. Resta il fatto che la salvezza è stata conquistata con largo anticipo; tanto basta, ma l’anno prossimo si ripartirà da Colantuono.
L’anno scorso aveva lottato per l’Europa League, quest’anno ha dovuto soffrire per districarsi tra le difficoltà delle zone basse. Salvezza alla fine tranquilla, ma la macchina ben oliata di Mandorlini qualche problema di troppo l’ha avuta. Senza il miracoloso Toni, capocannoniere per la seconda volta a distanza di nove stagioni (e a 38 anni), il Verona avrebbe forse lottato per non retrocedere fino alle ultime giornate; d’accordo gli infortuni, ma restano inspiegabili alcune scelte estive. Come quella di Saviola, che sarebbe dovuto essere fiore all’occhiello e invece ha giocato 15 partite per 463 minuti. Soprattutto, la squadra dà la sensazione di non essere troppo futuribile; andrà ricostruita e non è detto che ci sarà ancora Mandorlini. Anche qui però il voto è positivo: dopo tutto l’obiettivo è stato raggiunto.
(Claudio Franceschini)