Ci sono volute 4 ore e 26 minuti per chiuderla, ma alla fine Roger Federer centra l’obiettivo: va in finale alle Olimpiadi, sul campo che ama più di ogni altro al mondo, il centrale di Wimbledon, che l’ha visto trionfare sette volte, l’ultima 26 giorni fa, storia recentissima. 266 minuti, attenzione, per una partita ai tre set: una maratona infinita, in cui il solo terzo parziale è durato più dei primi due messi insieme. In finale va Federer (aspetta il vincente tra Murray e Djokovic), ma Juan Martin Del Potro, argentino che nel corso della carriera è stato più volte accostato ai tre mostri sacri del mostro mondiale senza però riuscire a trovare la continuità, l’unico oltre a Rafa Nadal a battere Federer in una finale Slam (ci riuscì nel 2009, agli US Open), non esce per niente sconfitto da questo match, pur se abbandona il centrale tra le lacrime per l’occasione sfumata. Si giocherà la medaglia di bronzo, ma per come oggi è stato in campo avrebbe meritato di approdare lui pure all’ultimo atto del torneo olimpico. A iniziare alla grande era stato lui, Del Potro, che ha sfruttato al massimo il break nell’ottavo game del primo set e poi ha chiuso 6-3. Nel secondo parziale hanno dominato i game di servizio: la grande capacità di battuta dei due (Federer alla fine somma 24 ace, Del Potro 11 ma anche una serie di servizi vincenti non indifferente) ha fatto sì che si arrivasse al tie break senza sussulti: la maggior classe ed esperienza di Federer ha avuto la meglio, 7-5 e tutto rimandato al terzo e decisivo set. Che non prevede, come da copione, il tie break, ed è questo il perché siamo entrati nella leggenda. Del Potro è entrato nel set un po’ sule gambe, in condizione fisica decisamente scadente, e dalle tribune come dai televisori la convinzione era quella che uno come Re Roger non avrebbe avuto difficoltà a liberarsi dell’argentino. Ci sbagliavamo tutti. Del Potro è salito di colpi senza mai concedere una palla facile allo svizzero, che si è arrampicato fino all’8-8 e poi ha avuto la grande possibilità: sullo 0-30 ha portato a rete l’avversario e gli ha messo una volle angolata sul rovescio, ma dal possibile 0-40 e partita chiusa si è passati al 15-30 grazie a un tuffo eroico, alla Boris Becker, di Del Potro. Qualcosa è cambiato in quel momento: il tennis, lo sappiamo, è uno sport che vive di istanti come nessun altro. E’ così accaduto che non solo l’argentino ha salvato la partita e la qualificazione, ma addirittura si è portato avanti con un parziale di 8 punti a 1 e ha messo una terrificante pressione di Federer. Che in almeno un paio di occasioni si è salvato da 0-30 grazie al suo servizio fantastico, niente di più: Del Potro, da fermo, lo prendeva a pallate con irrisoria facilità. Sul 9-9 ci siamo nuovamente illusi che fosse finita, che Federer, con il break del vantaggio, andasse a servire e chiudesse nel giro di un minuto. Niente da fare: Del Potro oggi ci ha scherzati tutti, controbreak (a zero, quasi sbadigliando) e via con la partita più epica del torneo, dell’anno e magari anche del lustro, se solo non ci fossero un paio di finali Federer-Nadal e Djokovic-Nadal a non essere d’accordo. Per farla breve, tra volle sbagliate in modo assurdo (Federer), doppi falli sanguinosi (Del Potro) e continui cambi di scenario, i due hanno tenuto i loro turni di servizio fino al 17-17 (Del Potro è arrivato anche ad annullare tre palle break consecutive). Qui c’è stata la svolta decisiva:
L’argentino ha mollato il servizio, e al cambio di campo Federer ha deciso di farla finita. Si è guadagnato il primo match point della partita, l’ha sprecato mandando in rete una volee facile facile, ma alla seconda opportunità non ha perdonato. E’ finita così, con le lacrime di uno, lo svizzero, che fa un passo decisivo verso l’unico titolo che ancora manca alla sua inarrivabile carriera; e dell’altro, Del Potro, che sa di essere tornato sui livelli del 2009 ma che per vincere dovrà aspettare che certa gente decida di essere troppo anzianotta per praticare il tennis. Post scriptum, tanto per gradire: per tutta la durata della partita, il livello di gioco si è mantenuto inarrivabile per i due terzi dei giocatori del ranking ATP. Facciamo anche i due terzi e mezzo, e non ci sbagliamo. Partite così, quando le perdi, fanno malissimo: Del Potro da qui deve risalire fino a centrare almeno il bronzo, per quello che adesso può velere. Federer, se gioca così, non perde mai, ma avrà la freschezza necessaria a competere con il ragazzetto Djokovic? O le gambe giuste per rimanere in piedi di fronte alla sete di vendetta di Murray? Domenica il verdetto: quasi ci spiace, che il torneo debba finire.
(Claudio Franceschini)