Stadi pieni, e stiamo parlando di teatri come Old Trafford o il Millennium di Cardiff; squadre ben organizzate in campo, con precise tattiche e sprazzi di grande calcio; tanti gol e spettacolo. Non stiamo parlando del torneo di calcio maschile, che peraltro ha anche deluso leggermente le aspettative (Spagna e Uruguay subito fuori, Brasile meno che discreto nel primo turno e mai impegnato da avversari di grido): il soggetto è il calcio femminile, protagonista alle Olimpiadi dal 1996. Siamo quindi alla quinta edizione di un torneo che negli anni ha acquistato sempre più fascino e visibilità. Il merito è di alcuni Paesi che hanno scommesso su una disciplina che ha fatto fatica ad emergere perché, si sa, il calcio è uno sport che riguarda i maschi, non è praticabile dalle donne. Non è così: pensiamo alla Germania, potenza internazionale con tre Mondiale e tre Europei vinti e a livelli assoluti anche con le donne (campioni del mondo nel 2003 e 2007). Forse il calcio femminile è esploso sulla scena nel 1999, quando Brandi Chastain festeggiò il rigore che diede la vittoria mondiale agli Stati Uniti togliendosi la maglietta e rimanendo in reggiseno nero, immagine che rimase scolpita nella mente di molti e fece il giro del mondo, più del nome della Chastain; allora, la nazionale di calcio americano raggiunse livelli di popolarità, all’interno dei confini nazionali, che superavano quelli di Ronaldo, anche grazie a Mia Hamm, la giocatrice simbolo di quella squadra che l’anno seguente vinse il primo oro olimpico. In Italia un buon contributo lo hanno dato una campionessa come Carolina Morace e la presenza di Milene Dominguez, fidanzata all’epoca di Ronaldo, che giocò con il Fiammamonza. Sia come sia, la finale di oggi, Stati Uniti-Giappone (ore 20:45 a Wembley: si prevede il pienone) è un evento da non perdere, che racchiude più motivi di interesse di quanto non faccia un Brasile-Messico nel torneo maschile (nel quale, anche per la presenza delle formazioni Under 23, spesso e volentieri il livello di gioco non è esaltante). E’ la riedizione dell’ultimo atto del Mondiale 2011 giocato in Germania: le asiatiche si imposero ai rigori, dopo aver impattato sul 2-2 a tre minuti dal 120′ (contrappasso per gli States, che nei quarti avevano riacciuffato il Brasile addirittura nei minuti di recupero). Le americane cercano la rivincita, anche per prendersi il terzo titolo olimpico consecutivo, il quarto in cinque edizioni: finora, hanno fallito solo nel 2000, quando si arresero in finale alla Norvegia. In patria sono delle star: per dire, Alex Morgan, 23enne attaccante che gioca a Seattle, viene invitata ai lanci di apertura delle partite di baseball ed è più famosa del suo fidanzato che pure gioca a calcio. Hope Solo, portiere votata come migliore nel suo ruolo agli ultimi Mondiali (e detentrice di un record di imbattibilità da 1.053 minuti), ha scritto un’autobiografia (negli Stati Uniti uscirà in questi giorni) che pare andrà a ruba. Loro sono le due punte di diamante, ma tutta la nazionale a stelle e strisce gode di straordinaria popolarità in patria. Certo può aiutare (quantomeno il pubblico maschile) che di Morgan e Solo ci si possa innamorare a prima vista, allo stesso modo in cui la presenza di Leryn Franco ha creato interesse nel lancio del giavellotto o il torneo di basket femminile ha tratto giovamento da Antonija Misura (mentre un fenomeno come Brittney Griner passa inosservato al di qua dell’Oceano); la verità però è più ampia, perchè le americane a calcio sanno giocare eccome. In campo fanno invidia a certe formazioni europee che si vedono sfilare per i campi: praticano un 3-4-3 con un centrocampo di assoluta qualità con Carli Lloyd che distribuisce il gioco e Megan Rapinoe e Tobin Heath a inserirsi e tirare da fuori come dei Marchisio in gonnella (due splendidi gol in questi giorni). Davanti le cose migliori: Abby Wambach è la giocatrice che ha più gol in assoluto in una nazionale (144), un rapace dell’area di rigore che ha solo bisogno del pallone giusto per spararlo in porta e ha già vinto quattro volte il titolo di miglior giocatrice USA, mentre Alex Morgan parte sull’esterno, si accentra, usa destro e sinistro (è mancina naturale, ma a volte non ci si rende conto della differenza di piede) e ha più di mezzo gol a partita di media. Nella semifinale contro il Canada, partita epica e chiusa 4-3, ha spaccato i supplementari: prima ha messo un pallone sulla testa della Wambach che ha centrato la traversa, poi lei stessa ha segnato il gol della vittoria quando l’arbitro aveva il fischietto in bocca e si andava verso i rigori. Sono le favorite per la vittoria, ma occhio al Giappone:
Le asiatiche sono particolarmente abili nel possesso palla e praticano un gioco fatto di tanti passaggi e movimenti continui, finalizzando con buone percentuali su situazione di palla inattiva. Hanno battuto la Francia, una delle grandi favorite del torneo, e hanno giocatrici eccellenti come Homare Sawa (miglior giocatrice e scarpa d’oro in Germania un anno fa), Aya Miyama e Shinobu Ohno, che rendono il centrocampo nipponico tutt’altro che inferiore a quello degli Stati Uniti. E poi, sono confortate dal precedente tedesco. Basterà per battere Team USA? Finora hanno subito solo due reti in tutto il torneo e hanno fatto fuori Brasile e Francia nel giro di tre giorni; gli Stati Uniti di palloni in porta ne hanno messi 14 (5 gol di Wambach, 3 di Morgan), ma contro il Canada si sono fatti infilare 3 volte, sempre da Christine Sinclair, 143 gol in nazionale (“Tanto di cappello, probabilmente è la più forte di tutte”, l’ha omaggiata Hope Solo dopo aver subito la tripletta). Pronostico alla pari, ma a volte fare la storia (leggi terzo oro consecutivo) può dare motivazioni extra.
(Claudio Franceschini)