Ci scuseranno Sara Errani e Roberta Vinci se per una volta i titoli di copertina non se li prendono loro. Della finale raggiunta dal nostro doppio al femminile ci occuperemo qualche riga più sotto; oggi le celebrazioni agli Australian Open sono tutte per una ragazza che compirà 20 anni il prossimo 20 marzo. Viene dalla Florida, e se dici Florida pensi subito a Nick Bollettieri e alla sua Academy, forse la più prestigiosa al mondo, quella che ha formato Maria Sharapova per intenderci (è tutto dire, se una ragazza parte dalla Siberia per andare a diventare campionessa dall’altra parte del mondo). Se gli Australian Open fossero un film, sarebbe uno di quei lungometraggi in technicolor che si guardano nelle serate disimpegnate in cui si ha voglia di far correre la mente lungo i sentieri del sogno. Sloane Stephens, questo il nome della ragazza in questione, sarebbe la protagonista. Ne ha l’aspetto e il carattere: ha ancora il volto della bambina, sorridente in ogni situazione e quasi stupita di trovarsi a Melbourne a giocarsi tra due notti una semifinale Slam. Avete capito bene: il titolo del film, parafrasando il celeberrimo lavoro di George Seaton (quello originale del 1947) sarebbe “Miracolo alla Rod Laver Arena”. Avevamo appena visto Victoria Azarenka battere con facilità Svetlana Kuznetsova; la bielorussa nel tornare negli spogliatoi sapeva che il suo torneo sarebbe iniziato con la partita contro Serena Williams, per l’accesso alla finale e la rivincita su quella finale di New York. E invece, sorpresona: dopo un’ora e 47 minuti Serena sbaglia quattro colpi in successione e viene eliminata. E’ così: la tennista più forte del globo è fuori ai quarti di finale di Melbourne, e alzi la mano chi avrebbe anche solo immaginato di costruire una storia così, con la giovane connazionale emergente che perde il primo set quasi nettamente, è capace di risalire nel secondo e quando la partita diventa una battaglia è quella che mantiene i nervi saldi e fa suo l’incontro. Certo: la minore delle Williams ha accusato dolori alla schiena che forse ne hanno limitato il rendimento. Anche così, però, l’impresa di Sloane è titanica e non va ridimensionata: il suo è un sogno ad occhi aperti, e adesso sono in molti a sperare che questi tre set che per lei rappresentano un capolavoro e forse l’inizio di una fulgida carriera non siano la parola fine sulla favola australiana. Ci sono due immagini che valgono il prezzo del biglietto: la prima è quella di Serena che per omaggiare l’avversaria passa dall’altra parte della rete, quasi un gesto a sottolineare tutto il rispetto per chi, pur contro tutti i pronostici – o forse proprio per questo – ha battuto la favorita. A proposito: nell’unico precedente prima di questa notte le due americane si erano affrontate una sola volta, all’inizio del 2013 a Brisbane. Aveva vinto Serena, e la Stephens aveva avuto da ridire su un “come on” dell’avversaria che, a suo modo di vedere, era stato troppo urlato e senza rispetto. Oggi tutti gli incitamenti della Williams non sono serviti, ed ecco la seconda immagine di giornata: il punto che vale la semifinale sul 5-4 del terzo set – sul servizio di Serena – è un rovescio della Williams che affonda in rete. Ti aspetteresti che la Stephens si rotoli in campo, si stenda alla Nadal, faccia salti alla Tsonga; e invece lei guarda il suo angolo con un’espressione che più o meno dice “Cos’è successo? Sono davvero qui?”, poi alza appena i pugni e, dopo aver salutato avversaria e arbitro, ringrazia il pubblico – in visibilio – con una compostezza che fa tornare alla mente la Maria Sharapova diciassettenne e di bianco vestita che si era inginocchiata sul centrale di Wimbledon con la grazia di una dama dei tempi andati, per festeggiare il suo primo Slam. Contro Serena Williams. Se le storie si ripetono, Sloane Stephens diventerà una campionessa. Chissà se Victoria Azarenka e la stessa Masha avranno intercettato la giovane americana dopo la partita; chissà se l’avranno omaggiata per aver eliminato la più forte. Forse no: la bielorussa, la prima a doversela vedere con Sloane, probabilmente sta tremando al pensiero di dover incrociare la racchetta contro questa diciannovenne che non sa cosa sia la paura. Quella che forse adesso sarà un po’ venuta a Corrado Barazzutti: l’Italia affronta gli Stati Uniti in Federation Cup, e tutti erano preoccupati dall’eventuale presenza di Serena Williams. Lui, il capitano esperto e navigato, aveva già indicato nella Stephens il potenziale pericolo; ma la soglia di preoccupazione sarà salita ai massimi storici dopo questa nottata australiana. Poco dopo arriva la storia tutta italiana: Sara Errani e Roberta Vinci battono le russe Makarova e Vesnina e volano in finale nel doppio. Partita senza storia: troppo più forti le nostre per essere impensierite dalla coppia numero 4 del tabellone. Per le azzurre si tratta della quarta finale Slam nel giro di un anno: nel 2012 persero in Australia contro Kuznetsova e Zvonareva. Vincendo l’ultimo atto si prenderebbero il terzo Major dopo Roland Garros e US Open, e arriverebbero a un passo dal completare il Grande Slam. Un’impresa titanica che rende omaggio a due ragazze che forse hanno raggiunto tardi la maturità tennistica ma si stanno togliendo enormi soddisfazioni, facendole togliere anche a noi tifosi e appassionati. La finale potrebbe essere una formalità: nessuna delle due coppie ancora in gara (Lepchenko/Zheng e Barty/Dellacqua) è testa di serie, ma certo contro le australiane Sara e Roberta avranno il pubblico contro. E’ lecito pensare comunque che siano superiori anche a un ambiente “ostile”. C’è gloria anche per Simone Bolelli e Fabio Fognini: i nostri ragazzi sono in semifinale nel doppio avendo battuto i colombiani Cabal e Farah. L’ultimo frame di giornata, in attesa che scenda in campo Roger Federer (seguiranno aggiornamenti) è la semifinale raggiunta da Andy Murray: come da previsioni il britannico demolisce Jeremy Chardy e continua la corsa verso il secondo Slam consecutivo. Qui aveva raggiunto la finale nel 2011 – battuto da Djokovic – oggi può andare oltre ma dovrà fare i conti, prima che con Nole, con il Re svizzero. Ma Andy non è più il giocatore che perdeva le finali senza nemmeno vincere un set: pronostico aperto a qualunque conclusione, e comunque Roger deve ancora giocare e battere Tsonga. E’ favorito, ma non sarà una passeggiata.
(Claudio Franceschini)
(3) Andy Murray (GBR) b. Jeremy Chardy (FRA) 6-4, 6-1, 6-2
(1) Victoria Azarenka (BLR) b. Svetlana Kuznetsova (RUS) 7-5, 6-1
(29) Sloane Stephens (USA) b. (3) Serena Williams (USA) 3-6, 7-5, 6-4
(1) Bob Bryan/Mike Bryan b. Daniele Bracciali/Lukas Dlouhy 6-3, 7-5
Simone Bolelli/Fabio Fognini b. Juan Sebastian Cabal/Robert Farah 1-6, 6-4, 6-3
(1) Sara Errani/Roberta Vinci b. (4) Ekaterina Makarova/Elena Vesnina 6-2, 6-4