La situazione nelle carceri italiane è drammatica e rischia di essere particolarmente grave per i più giovani
Tutti i giorni sono segnati da tragedie di uomini che uccidono donne e poi recentemente la situazione si è aggravata con alcuni di essi che, incarcerati, si tolgono la vita Non sapremo mai se è il rimorso che li devasta o sono le condizioni di carcerati che li portano al suicidio, sappiamo solo, nell’ultimo episodio, che il giovane era stato sottoposto a vigilanza continua e che il suo avvocato aveva chiesto una perizia psichiatrica che non è stata eseguita in tempo utile.
Vero è che le condizioni delle carceri italiane sono caratterizzate da un sovraffollamento e da una carenza di risorse che incidono negativamente sulla vita dei reclusi e anche del personale costretto a turni pesantissimi. Eventi causati dal degrado e da mancanza di manutenzione portano ad atti di autolesionismo devastante.
L’Associazione Antigone ha pubblicato il suo report a fine 2024, dove denuncia che a fronte di 47.000 posti disponibili il tasso di sovraffollamento contava 62.153 unità con 88 suicidi e 243 decessi totali.
Il reato di femminicidio di recente sottoposto a reato con aggravante, ma questo non pare essere un disincentivo all’accanimento che si perpetua sulle donne, anche perché la cosiddetta prevenzione è fatto con strumenti come il braccialetto elettronico, che a volte addirittura non funziona o non viene segnalato come attivato nonostante varie denunce effettuate dalle vittime.
Il fatto vero è che la cultura della soppressione della donna non accondiscendente è una costante che ammorba la quotidianità e sono indispensabili interventi concreti da parte delle istituzioni, della scuola, poiché la società e la cultura ancora molto maschiliste e oggi poi molto violente, insieme alla scarsa tutela della donna in molti ambiti e la rappresentanza in ambito familiare e soprattutto nel lavoro sempre troppo precario non restituiscono alla figura femminile il ruolo reale che svolgiamo nella comunità.
La funzione del carcere sancita dall’art 27 della Costituzione prevederebbe il reinserimento sociale del condannato con strumenti e percorsi che favoriscono il cambiamento del suo comportamento e il rispetto della società attraverso un trattamento rieducativo come l’istruzione e il lavoro e l’accesso a misure alternative alla detenzione per riconquistare una vita fuori dal carcere. Ma così non è il più delle volte e ci appare un’utopia il raggiungimento di tale obiettivo a sistema anche perché manchiamo di risorse adeguate.
Per la verità alcune lodevoli eccezioni all’interno delle carceri sono rappresentate da attività che promuovono il reinserimento graduale nella società come ad esempio la possibilità di dedicarsi allo studio e, secondo Antigone, sono 796 gli studenti universitari in carcere iscritti in 30 università e molte aziende e fondazioni offrono l’impiego costruttivo e diversificato delle giornate nel contesto carcerario in ambito artigianale e alimentare.
Ma altrettanto vero è che a chi esce dal contesto carcerario non viene in realtà offerta una reale e concreta possibilità per lo stigma che lo accompagna all’emarginazione sociale a cui è destinato. E altrettanto vero è che sempre l’Associazione Antigone dichiara che il 13% dei detenuti presenta una diagnosi di disturbo psichico grave.
E per i giovani la situazione è veramente gravissima perché la criminalità giovanile – in particolare per i crimini violenti – è in drammatica ascesa con bande di gruppi devianti che sovente si uniscono per rafforzare il loro desiderio insano di violenza verbale, psicologica, fisica, sessuale fino ad arrivare all’omicidio.
Spesso sono i social network che diventano amplificatori di azioni riprovevoli che assumono il profilo di atti radicalizzati, esaltanti, illeciti da emulare con linguaggi aggressivi nei confronti dei più deboli. Addirittura in alcune serie tv o brani musicali si trova una narrazione che quasi normalizza o esalta la violenza e l’abuso di sostanze che svuotano di valore e senso la vita.
In questa emergenza educativa prima di arrivare al carcere quelli che servono sono appunto percorsi di prevenzione, ascolto, approfondimento su argomenti come le dipendenze, la cultura sociale, la solidarietà.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI