CAOS ENERGIA/ “Impossibile ora sostituire il gas russo, l’Italia ha perso il treno”

- int. Davide Tabarelli

Se Mosca dovesse chiudere i rubinetti del gas, il prezzo schizzerebbe a 400 euro. Le misure più urgenti? Razionare i consumi, riaprire al carbone, aumentare le scorte

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Agire rapidamente contro il caro bollette e il caro carburanti: è l’obiettivo del premier Draghi per mettere un freno alla corsa della crisi energetica. “Il governo condivide le preoccupazioni per l’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime. Siamo al lavoro per limitare l’impatto di questi rincari sulle imprese e sulle famiglie”.

Sul tavolo diverse ipotesi: aumento del credito di imposta, fino al 50%; aiuti alle aziende più penalizzate dalle sanzioni alla Russia attraverso il fondo di garanzia a sostegno del credito; taglio dei costi dei carburanti; ricerca di nuovi approvvigionamenti (a tal scopo il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e il numero uno dell’Eni, Claudio Descalzi, sono stati l’altro ieri e ieri in missione in Congo e in Angola).

Non solo: si parla anche di riduzione dell’illuminazione pubblica, taglio di uno o due gradi della temperatura consentita per il riscaldamento negli edifici, accorciamento degli orari di apertura degli impianti di riscaldamento. Basteranno queste misure? Andiamo incontro a nuovi shock dell’energia? Che cosa sarebbe il caso di fare con maggior urgenza? Lo abbiamo chiesto a Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia.

Possiamo dire addio al gas russo? Ed è possibile farlo in 24-30 mesi?

È possibile solo se si razionano i consumi, altrimenti è impossibile, soprattutto in 24-30 mesi. In giro per il mondo di gas non ce n’è molto, parliamo di circa 10 miliardi di metri cubi. Se la Ue blocca le importazioni dalla Russia, che valgono 150 miliardi di metri cubi, non c’è al momento possibilità di sostituirlo.

Algeria, Qatar, Congo: l’Italia ha trovato o può trovare nuovi fornitori di gas?

Il nostro paese può già contare su una bella varietà di fornitori, ma sono tutti produttori che non possono mettere a disposizione nuove quantità, perché hanno già impegnato tutta la loro produzione. In questi anni non sono stati realizzati investimenti in nuova capacità produttiva, un po’ perché i prezzi erano bassi a causa della bassa domanda, un po’ perché tutti dicevano: il gas non servirà più, lo sostituiremo con le fonti rinnovabili. L’errore è stato non attrezzarci al meglio per questa evenienza.

Oggi le forniture di gas non subiscono interruzioni?

No, sono regolari, anzi sono paradossalmente aumentati i volumi.

Ma se la guerra dovesse protrarsi e Putin decidesse di chiudere i rubinetti, a cosa andremmo incontro nel breve?

A uno shock di prezzo ben maggiore di quelli visti finora. Se si interrompono le forniture da Mosca, il prezzo del gas potrebbe schizzare fino a 400 euro e le bollette dell’energia raddoppierebbero. E anche il petrolio ne risentirebbe in maniera pesantissima.

L’Eni ha già sospeso l’acquisto di petrolio dalla Russia. Una preoccupazione in più?

Eni non acquistava molto petrolio dalla Russia.

Il prossimo autunno rischiamo di trovarci in emergenza?

Anche adesso siamo in piena emergenza: il rischio è che la situazione possa peggiorare. Dobbiamo attrezzarci fin da subito per aumentare le scorte e dovremo pensare a come razionare i consumi. Ma, per esempio, al momento non c’è alcuna indicazione da parte del governo a ricorrere al carbone per la produzione dell’energia elettrica.

È uno shock peggiore della crisi petrolifera degli anni Settanta?

Sì, perché lo shock petrolifero degli anni Settanta era concentrato sul petrolio, mentre questa crisi coinvolge tutta l’Europa e coinvolge il maggiore fornitore mondiale di energia: se si mettono insieme le esportazioni di petrolio e di gas, nessuno al mondo può sostituire le forniture della Russia, che se venissero a mancare sul mercato internazionale avrebbero un impatto tremendo.

Draghi paventa addirittura che potrebbe essere messa a rischio la stessa sopravvivenza delle imprese. È così?

Certo, molte stanno già chiudendo, anche se guardando ai consumi non si nota tutto questo calo.

Il ministro Cingolani ha detto che gli aumenti di carburante che si stanno registrando sono una truffa colossale e lo stesso premier Draghi ha proposto alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di porre un tetto ai prezzi del gas. È un’operazione possibile?

È un’operazione che ha senso, perché sul mercato del gas le quotazioni sono passate in breve tempo da valori intorno a 20 fino a sopra i 200 euro: un mercato che vede i prezzi aumentare di dieci volte in poco tempo è un mercato che ha problemi. Le stesse regole delle Borse, in caso di oscillazioni fortissime e molto brusche, prevedono le sospensioni. Forse sarebbe il caso di introdurre, per certi periodi, delle forme di controllo, anche perché i costi di produzione nel frattempo non si sono modificati di molto.

Ma è fattibile porre un cap?

È un’operazione difficile, perché veniamo da 20 anni di liberalizzazione e non è semplice tornare a un regime di prezzi amministrati: a che livello viene fissata la quotazione? Oggi oscilla fra i 120-130 euro, cosa facciamo: la mettiamo a 100? Perché non a 80? Oppure a 20 come l’anno scorso? O addirittura a 14, come il prezzo che pagano gli Stati Uniti? Aspettiamo le proposte della Commissione Ue.

Comprare all’estero energia prodotta dal nucleare di altri paesi, riattivare le centrali a carbone, puntare con maggiore decisione e velocità sulle fonti rinnovabili: possono sostituire il gas russo?

Il carbone è la prima opzione, è la soluzione più veloce, ma il nostro governo ne parla con molto imbarazzo. L’acquisto di energia elettrica prodotta da centrali nucleari all’estero è una pratica adottata da 30 anni e oggi non cambierebbe niente, bene che vada potrà coprire il 10-15% del fabbisogno, anche perché gli altri paesi non è che abbiano tutta questa elettricità in surplus. Quanto alle rinnovabili, è da decenni che ci investiamo, ma oggi è diventato impossibile realizzare anche piccoli impianti.

Che cosa sarebbe necessario fare oggi, con urgenza?

Bisogna razionalizzare la domanda di elettricità delle imprese; ricorrere al carbone, ma anche a legna e pellet; ridurre i consumi delle famiglie; abbassare le temperature nei condomini.

(Marco Biscella)

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