L’idea di un governo unitario che traghetti la Libia verso nuove elezioni è sempre valida. Ma nessuno riesce a realizzarla. Ne ha preso atto anche l’inviato dell’ONU Abdoulaye Bathily: vista l’impossibilità di realizzare il suo piano, si è dimesso. E nonostante il Paese resti diviso tra l’esecutivo di Dbeibah a Tripoli e quello di Osama Hammad nella Cirenaica, controllata da Haftar, qualche tentativo di individuare un percorso unitario è ancora in atto. Come quello del presidente della Camera dei rappresentanti (il parlamento eletto in Cirenaica) Aguila Saleh, che ha raccolto le candidature di possibili premier del governo di transizione. Poco per sbloccare la situazione, racconta Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di Inside Over.
Anche la proposta di una Libia federale, che riconosca l’autonomia ad alcuni territori riconducendoli a un governo comune, non attecchisce. Il modello Iraq, che sancisce la presenza delle comunità sunnita, sciita e curda senza dividere il Paese, qui non sembra replicabile. Ai libici, divisi fra mille tribù e milizie, manca ancora la consapevolezza di essere una nazione. Forse se ne renderanno conto quando capiranno che senza uno Stato, un’autorità capace di amministrare seriamente, non riusciranno più a sfruttare la loro risorsa principale: il petrolio.
Le trattative politiche sono in una fase di stallo, che significato ha l’iniziativa di Saleh? C’è ancora la volontà di definire un governo unitario?
Ci sono candidati, ma anche due incognite: la prima è che Dbeibah non vuole lasciare il suo ruolo. La seconda riguarda l’iniziativa stessa di Saleh di raccogliere le candidature per il governo: da una parte significa che c’è l’intenzione di scegliere un nuovo premier, dall’altra mi chiedo se si riuscirà a trovare un accordo con l’altro parlamento, il Consiglio di Stato, che ha sede a Tripoli.
Quali sono i punti su cui non c’è accordo?
Non sono punti programmatici o ideologici, ma relativi alla spartizione delle cariche. In Libia ci sono più di cento tribù e tantissime milizie: nessuno vuole cedere la sua parte di potere, nessuno vuole rimanere a mani vuote. Se così fosse è pronto a mettere quelle stesse mani sulle armi. Non c’è accordo su come spacchettare il potere in Libia: in questi 13 anni di vuoto tutti hanno voluto la loro parte della torta.
L’idea di una Libia federale può mettere d’accordo territori che sono divisi?
Se ne parla da tempo, di fatto si vorrebbe ricalcare quanto fatto in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. Ma quello è un Paese diviso in zone di influenza: una parte sciita, una sunnita e una curda. Suddividerlo in tre grandi aree federate può avere un senso. Non dico che sia un modello, però, tutto sommato, a distanza di anni, sta imparando a convivere con questo tipo di impostazione, che tiene conto delle diverse sfere culturali ed etniche della sua società. In Libia a livello religioso c’è omogeneità, sono sunniti, e le divisioni non sono etniche: sono tutti arabi, fatta eccezione per il sud dove ci sono le minoranze Tebu, Tuareg e berbere. Quella della Libia è più che altro una divisione storica, in cui Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, con le rispettive tribù, cercano di avere più potere. Creare una federazione in un Paese sostanzialmente omogeneo non credo andrà a favore dell’unità. Bisognerebbe chiedersi anche come dovrebbe essere gestita una federazione in termini di proventi del petrolio e di distribuzione dei soldi.
Ma Tripolitania, Cirenaica e Fezzan non potrebbero essere considerate come parti di una nuova Libia unita?
Sono regioni che sotto il profilo politico non esistono. La Libia di Gheddafi non era divisa in tre regioni: non ci sono dei confini netti tra di loro, c’è questa distinzione solo perché in queste tre aree ci sono tribù che hanno maggior peso rispetto ad altre. Non è una divisione naturale come in Iraq.
In una situazione così parcellizzata, si può ritrovare l’unità?
Gheddafi c’era riuscito con il pugno di ferro e distribuendo ora all’una ora all’altra tribù i proventi del petrolio. Un sistema che ha dato in eredità ai libici una totale mancanza di senso nazionale. Si è descritto Gheddafi come nazionalista, in realtà era al massimo un nazionalista arabo. Ha sfruttato le divisioni tribali grazie a una gestione clientelare. Un sistema che non può essere riproposto, come non è auspicabile che ci sia un nuovo rais: non potrebbe essere accettato. In realtà ci vuole tempo perché i libici capiscano che è necessario un accordo di unità nazionale. Non basta fare uno Stato, bisogna fare una nazione e nessun piano ONU o calato dall’alto può funzionare nel giro di pochissimi anni. Sono passati 13 anni dalla deposizione di Gheddafi, credo che ce ne vorranno altri dieci per trovare una soluzione.
Questa latitanza dello Stato però i libici rischiano di pagarla cara, perché nel frattempo sono arrivati i turchi, i russi, si sono rifatti vivi gli americani. Una situazione che può allungare i tempi del processo di unificazione?
Manca un’amministrazione, se a Derna nei mesi scorsi sono morte oltre 10mila persone è perché non si fa manutenzione sulle infrastrutture e alla prima alluvione le dighe hanno ceduto. Un’osservazione che vale anche a livello economico: molte infrastrutture per il gas e per il petrolio sono vecchie, fra qualche anno si rischia di non poterle utilizzare. Un Paese senza Stato è senza futuro. Quando la Libia non potrà avere più introiti perché non avrà infrastrutture adeguate, capirà che è meglio mettere da parte le inimicizie per creare una forma di Stato che metta in moto la normale amministrazione.
Il Paese così sfrutta male la sua ricchezza principale, che è quella del petrolio, soggetto anche a forme di contrabbando, che si realizzerebbero, ad esempio, con i russi. Un altro tema che si lega alla mancata amministrazione comune?
La Libia esporta petrolio grezzo, ma non ha infrastrutture per avere benzina e petrolio raffinato, che infatti viene lavorato all’estero. La benzina libica è acquistata fuori dai confini nazionali con i proventi della vendita del petrolio. Succede che le organizzazioni criminali libiche consentano ai russi di avere petrolio grezzo a bassissimi costi e a loro volta i russi lo riesportino a costi più alti raffinato.
Vuol dire che la Libia, pur essendo un grande produttore di petrolio, deve acquistare la benzina per le auto all’estero?
Sì. E la benzina la paga lo Stato, infatti costa pochissimi centesimi. Anzi, lo Stato paga due volte: esporta con la NOC (la compagnia petrolifera nazionale, nda) poi con i proventi acquista la benzina e la paga ai cittadini. Un’altra eredità assistenzialista di Gheddafi.
Tornando alle tanto auspicate elezioni a livello nazionale, la situazione adesso è in fase di stallo?
Sì, è uno stallo che avvantaggia chi è al potere, come Dbeibah: reggono ancora gli accordi sottobanco che ha stretto con i figli di Haftar per evitare che si ripeta uno scontro come ai tempi di Al Sarraj. A sua volta Haftar e la sua corte possono governare in Cirenaica. Uno stallo, quindi, che non dispiace più di tanto, ma non avvantaggia i cittadini libici.
(Paolo Rossetti)
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