Dbeibah debole e contestato. Adesso tutti guardano ad Haftar: tra missili russi, droni turchi e favori USA può riunificare la Libia
Dbeibah, capo del governo di Tripoli, al capolinea, Haftar nuovo possibile padrone della Libia e non solo della Cirenaica. Uno scenario che si potrebbe realizzare per motivi diversi con il beneplacito di Turchia, Russia e USA e nel quale l’Italia potrebbe inserirsi sfruttando i contatti avviati qualche anno fa con Haftar.
La Libia, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova ed esperta della Libia, è in un periodo di grande tensione ed è al centro dell’attenzione da più parti, anche come possibile approdo di un milione di palestinesi provenienti da Gaza.
Qual è la situazione in Libia? Dbeibah rischia ancora?
Alcune delle milizie sembrano momentaneamente essersi calmate, ma la posizione di Dbeibah è sull’orlo del baratro, profondamente in crisi, soprattutto perché Turchia e l’Egitto si stanno sempre più avvicinando ad Haftar, che a sua volta marcia verso la Tripolitania chiedendo le dimissioni del capo del governo di Tripoli. Inoltre la popolazione sta protestando contro Dbeibah perché considera corrotto il suo esecutivo e chiede elezioni a gran voce.
Si parla della possibilità che i russi installino dei missili. Quanto è avanzata la collaborazione militare di Mosca con Haftar?
Sì, è plausibile ipotizzare che i russi stiano piazzando dei missili nella città di Sebha, che si trova a 900 chilometri da Tripoli e in linea d’aria a mille chilometri da Lampedusa. La Russia collabora con il generale Haftar dal 2014, anche in termini di armamenti. La collaborazione si è intensificata negli anni e ha raggiunto il suo apice lo scorso dicembre, quando i russi, con la presa di potere di Al-Jawlani in Siria e la caduta di Assad (quest’ultimo loro alleato), hanno dovuto sgombrare la base aerea di Latakia e quella navale di Tartus, trasferendo parte del loro arsenale in Libia, in particolare nel porto di Bengasi e nell’entroterra della Cirenaica. Per questo è plausibile che stiano piazzando missili a sud della Cirenaica, nell’area dominata dal generale.
Haftar ha organizzato una parata militare mettendo in mostra tutte le dotazioni (anche di produzione cinese) del suo esercito: un segnale che ambisce ancora a conquistare tutto il Paese?
Non ha mai smesso di ambire a prendersi tutta la Libia. La parata è stata molto simbolica perché ha evidenziato non soltanto la volontà di Haftar, ma soprattutto del figlio Saddam, suo erede nella guida dell’esercito, di arrivare fino a Tripoli, questa volta con il sostegno della Turchia, che è passata dalla sua parte, fornendogli anche diversi droni, così come ha fatto la Cina.
È vero che un milione di palestinesi espulsi da Gaza potrebbero essere destinati alla Libia, forse in Cirenaica?
Si sta parlando sempre più insistentemente sui media italiani di un possibile accordo Haftar-Trump per accogliere un milione di palestinesi in Libia e di un’intesa Trump-Al Jawlani (ex Al Qaeda) per portarne 800mila in Siria. Sono accordi negati dai libici, anche se sappiamo che queste smentite a volte possono celare qualche verità.
Quali sarebbero gli effetti?
Quasi due milioni di palestinesi tra Siria e Libia vorrebbe dire non tenere in considerazione quello che sta succedendo a Gaza. Sconvolgerebbe i già fragili equilibri nella Striscia e nella comunità internazionale, soprattutto in quei Paesi arabi che sostengono la causa palestinese, tra cui Egitto, Turchia e parzialmente Arabia Saudita, che in questo momento sono interlocutori di Trump. La Libia è un Paese fatto di tribù, di identità locali: inserire un’entità palestinese sarebbe devastante per il suo tessuto sociale. Ma anche per i palestinesi.
Si parla della possibilità che il governo dell’est del Paese, dove hanno sede molti giacimenti, blocchi il petrolio, e che si sposti in Cirenaica la sede della NOC, la compagnia petrolifera nazionale. Le tensioni attuali in Libia nascono da lì?
È probabile che gli americani, per ingraziarsi Haftar, gli abbiano promesso di spostare l’ente petrolifero libico, per garantirgli gli introiti del petrolio che invece finivano sempre altrove, ponendo fine così a una vecchia controversia con Dbeibah.
Gli attori internazionali si stanno muovendo per calmare le acque nel Paese?
Gli attori internazionali, l’Europa in particolare, stanno osservando in silenzio quello che sta accadendo in un Paese importante per l’Italia in termini di energia, migranti e non solo. È un’Europa divisa e immobile. Per quanto riguarda l’America, invece, ha riaperto il dossier Libia anche per controllare le mosse della Russia. La Turchia, infine, sta abbandonando Dbeibah e avvicinandosi ad Haftar.
L’Italia, visti i suoi interessi economici con l’ENI, sta giocando un ruolo in questa crisi?
Credo che l’Italia stia monitorando quello che accade. La mia impressione è che abbiamo il vantaggio di aver interloquito con Haftar già da qualche anno. A differenza dei precedenti governi, quello di Giorgia Meloni ha dialogato con lui. Tra il 24 e il 26 di giugno ci sarà un forum economico italo-libico, questa volta però a Bengasi, un’iniziativa in linea con il piano Mattei, per realizzare progetti di sviluppo e imprenditoriali. Penso che non vada a cozzare con gli interessi e la presenza di turchi e russi nel Paese.
(Paolo Rossetti)
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