Maturità: tre studenti non fanno l'esame orale. Un gesto che rischia di nascondere il vero tema: la mancanza di un livello accettabile di preparazione
Forse bisognerebbe cominciare cambiando il nome con cui è noto a tutti: “esame di maturità”. Anzitutto perché un esame non può essere serio se oscura i lati negativi del soggetto esaminato e poi perché è acclarato che il grado di maturità di un giovane d’oggi è completamente diverso da quello di un suo coetaneo anche solo di mezzo secolo fa.
Quanto raccontano le cronache, cioè di tre giovani che, forti del punteggio acquisito agli scritti sufficiente ad acquisire la promozione, si sono rifiutati di rispondere alle domande della commissione d’esame per la prova orale, è stato invece letto da più parti come segnale proprio di maturità, di presa in carico di una prova ormai logora (questo sì) per tanti motivi quando, invece, proprio sostenendo il confronto coi docenti avrebbero avuto modo di dimostrare dialetticamente le proprie ragioni oltre che le proprie conoscenze.
Che all’ultima curva, quando ormai ci si trova sotto lo striscione d’arrivo, trovino il “coraggio” di gridare allo scandalo perché le regole (su cui hanno campato sino al giorno prima) non funzionano, appare più come una manifestazione di supponenza che di intelligenza. Anche se, come probabile, quelle regole dovrebbero essere finalmente cambiate.
A cominciare dalle conseguenze segnalate dall’ultimo Rapporto INVALSI, secondo cui “al momento del diploma, uno studente su due non ha competenze adeguate né in italiano né in matematica”, con un quadro ancor più grave in Lazio, Campania, Calabria e Sicilia dove il 60% non raggiunge nemmeno la soglia dell’accettabilità e punte del 70% in Sardegna.
Eppure, anche quest’anno il 99-virgola degli studenti avrà il suo bravo pezzo di carta (che ovviamente varrà poco o nulla visto il modo in cui è stato conseguito) e le votazioni più alte vedranno eccellere, come ogni volta da parecchio tempo a questa parte, proprio gli alunni del Sud.
Come questo possa accadere, dal momento che “solo nelle due macro-aree settentrionali la comprensione dei testi scritti raggiunge livelli almeno accettabili per oltre la metà degli studenti” è un mistero che qualcuno dovrebbe chiarire, ma ci si guarda bene dal farlo: crollerebbe l’impalcatura stessa della scuola.
A cominciare dai docenti, così solerti a promuovere a man bassa contraddicendo così il loro stesso operato: nel corso dell’anno distribuiscono insufficienze a ripetizione (e la prova INVALSI lo testimonia), ma agli esami scoprono di aver sbagliato tutto e allora rimediano elargendo giudizi pienamente positivi.
Delle due l’una: o sono stati di manica stretta prima o di manica larga dopo. Ma di questo gli studenti che rifiutano di farsi esaminare sono ben lungi dal voler discorrere. Meglio buttarla in politica e in polemica.
Anzi, di fronte alla promessa del ministro Valditara che l’anno prossimo verrà bocciato chi rifiuterà l’interrogazione, la “sinistra” Rete degli Studenti va all’arrembaggio con la consueta “arma” dell’attacco alla libertà di espressione. È la solita messa in scena di chi, a 18 o 19 anni, si sente politicizzato a sufficienza per tener testa al resto del mondo. Dimostrando che essere maturi è tutt’altra cosa.
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