CAOS MIGRANTI/ Luttwak: andate in Libia a gestire porti e hotspot, c’è l’ok degli Usa

- int. Edward Luttwak

Se l'Italia vuole affrontare seriamente il problema deve ampliare seriamente la sua presenza in Libia e gestire alcuni porti, dice il politologo Usa

migranti Un gommone con migranti a bordo. All'orizzonte la nave di Open Arms (LaPresse)

La Francia lavora solo al proprio interesse nazionale fuori e dentro l’Unione Europea, come insegna il recente caso Ocean Viking.

Gheddafi fu attaccato dai francesi senza nemmeno avvisarci; nello stesso periodo avevamo firmato accordi per 5 miliardi di euro e l’Eni aveva appena completato gli impianti petroliferi ed energetici del Paese. Sidney Blumenthal rivelò che Gheddafi intendeva sostituire il franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana, questa la miccia vera del conflitto, perché questa scelta avrebbe creato enormi danni a Parigi, solita ad applicare una semantica coloniale ai rapporti con gli Stati africani.

La “via della morte”, una carovana umana che i trafficanti gestiscono al centro del continente, agli estremi confini meridionali della Libia, parte dall’Africa francese. Questo flusso viene di fatto tenuto su suolo libico e costretto a prendere il mare. La tecnica è sempre la stessa: barchini ricolmi di immigrati trainati da una “nave madre” e lasciati in acque libiche.

Con l’analista e politologo Edward Luttwak, già consulente del Pentagono e raggiunto al telefono a Washington, abbiamo sviluppato alcune considerazioni sulla possibile gestione della partita-Libia, partendo da ciò che si può ottenere.

Nel 2011 fu la Francia a spingere gli Usa nei bombardamenti? “Sì – ci risponde Luttwak –, noi eravamo riluttanti, la terza fase avrebbe dovuto essere una missione ad hoc, ma la Francia ha fatto confusione, voleva solo il petrolio. Oggi la Francia è fuori, l’Italia ha installazioni per miliardi, cosa fa per il contribuente italiano?”. Il professore si riferisce all’Eni e a tutto ciò che l’Italia ha costruito in Libia.

L’Italia deve tornare in Libia, questa è la tesi del professore. Ma come esattamente si potrebbero “occupare” legalmente porzioni di suolo libico? “Già lo fate, a Misurata. C’è un ospedale, dove si può ampliare la presenza. Gli Usa vi supportano con basi e anche qualche mezzo, ma gli uomini dovete metterli voi. Cosa fate in Kosovo o nel Baltico? Andate in Libia”.

Con queste parole Luttwak ci riporta ad una soluzione che già avevamo descritto sul Sussidiario, ovvero la fattibilità di una concessione per la gestione uno o più porti libici (pagandola per 20-30 anni), creando hotspot moderni, sicuri (con ospedali, scuole, servizi) in cui è possibile chiedere asilo e scegliere un Paese europeo in cui arrivare in sicurezza. Senza entrare ora nel merito dei requisiti d’asilo, la concessione dei porti garantirebbe alla Libia infrastrutture nuove, scuole, opere pubbliche, il porto stesso. E con una presenza militare in loco e il pattugliamento congiunto delle acque libiche, in caso di intercettazione di barche non autorizzate sarebbe semplice il dirottamento nei porti libici in concessione, a quel punto sicuri. Chi ha il diritto d’asilo o di visto Ue potrebbe, in tutta sicurezza, arrivare tramite aereo o nave direttamente nel Paese scelto. Mentre chi non ha i requisiti per passare il Mediterraneo, resterebbe in Africa. Con questo sistema i trafficanti non avrebbero più possibilità di gestire i flussi e andrebbe a decadere lo scenario di morte creato dalle traversate.

Per motivi di vicinanza dovrebbe essere l’Italia a garantire la presenza militare (l’ex ministro della Difesa, Guerini, aveva recentemente investito 9 miliardi in armamenti e navi) e civile (sia con Eni che con aziende dedite alla ricostruzione). Una gestione che andrebbe a restituire ai libici uno Stato moderno e soprattutto sicuro, di fatto tagliando alle radici le motivazioni di quella povertà assoluta che dove non alimenta l’emigrazione foraggia l’estremismo.

Durante il colloquio Luttwak suggerisce “una missione Nato o Ue con il vostro comando. Obiettivo, la gestione dei porti. Serve una ‘polizia militare’ che metta in sicurezza le aree dove ci saranno gli hotspot, chi ha diritto passa e s’imbarca. La rete va sgominata, bisogna impedire ai trafficanti d’entrare in Libia, servono operazioni speciali con elicotteri e la messa in sicurezza delle infrastrutture, mentre nei centri vanno costruiti ospedali”.

Davanti all’obiezione che un impegno del genere sarebbe gravoso per il nostro Paese, Luttwak ci stoppa subito: “Sarebbe un impegno che vi mette al riparo dal caos che state subendo oggi. Così invece recuperereste sicurezza e risolvereste il problema dei migranti nel Mediterraneo. Dovete spendere in base al vostro status. Siete tra i primi otto Paesi del mondo e risparmiate, anzi sprecate. Ma poi pretendete che gli altri vi proteggano. Andate in Libia e un minuto dopo gli Usa vi garantiranno logistica, basi, intelligence e copertura navale. Ci stiamo ritirando dall’Afghanistan per concentrarci sulla questione cinese”.

Nessuna riserva dunque da parte degli Usa? No, anzi. Per Luttwak “gli Usa non impediscono ai propri alleati di mantenere intatto l’interesse nazionale. All’Italia serve energia, avete le installazioni e mantenete le truppe in Kosovo? Avete un interesse nazionale? Lavorate per gli altri Paesi? Avete Eni che funziona, usate le vostre capacità senza lamentarvi e pretendere che i problemi li risolvano altri. Dovete prendere l’iniziativa”.

A Luttwak chiediamo se l’Onu possa aiutarci con qualche risoluzione, ma il politologo è perentorio: “L’Onu che ha fatto in Libia? Nulla. Che fa per voi? Nulla. Vi chiede soldi per tutt’altro. Quindi non pensate alle Nazioni Unite”.

In chiusura l’ex consulente del Pentagono invita a riflettere gli italiani sul fatto che da 11 anni siamo alle prese con un problema geopolitico enorme, ma sempre alla finestra, troppo attendisti e soprattutto privi di quell’iniziativa che in passato aveva contraddistinto la nostra politica estera. “Bisogna tornare ad avere coraggio e prendersi la responsabilità d’azione in contesti in cui è in pericolo l’interesse nazionale, anche con azioni che possono sembrare impopolari”.

(Marco Pugliese)

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