Assad è caduto, ma c’è poco da gioire. Chi lo sostituirà in Siria, osserva Marcello Foa, giornalista, docente universitario, già presidente Rai e conduttore di “Giù la maschera” su Rai Radio1, non dà certo garanzie di pacificazione per il Medio Oriente. La storia di Al Jawlani, capo di Hayat Tahrir al Sham (HTS), è quella di un feroce terrorista, e anche se la sua ascesa è stata assecondata da turchi e americani, la realtà è che l’obiettivo era solo quello di colpire Putin come alleato di Assad, oltre che tagliare i rifornimenti dell’Iran a Hezbollah, senza che nessuno si sia chiesto quali potrebbero essere gli scenari futuri. Insomma, le incognite su cosa faranno i jihadisti al potere sono ancora tante. E non depongono certo a favore della stabilizzazione dell’area.
Si cambia tutto per non cambiare niente o la caduta di Assad sposta davvero gli equilibri del Medio Oriente?
Il Medio Oriente sta cambiando seriamente. L’acceleratore è stata la vittoria di Trump alla Casa Bianca. Questo susseguirsi di crisi improvvise tra Siria, Moldavia, Romania, Georgia, con l’America che manda le mine antiuomo e i missili a lungo raggio in Ucraina e Taiwan che comincia a fare la voce grossa con la Cina, sono tutti fattori che indicano come ci sia un fermento insolito per la quantità e la simultaneità delle crisi.
Che segnale è l’irrequietezza di questi Paesi?
Il sospetto è che diversi agenti, e in particolare l’amministrazione Biden uscente, abbiano interesse a movimentare il quadro. Quella in Siria è stata un’operazione gestita dalla Turchia, ma è ovvio che non è stato possibile realizzarla senza il placet e l’appoggio degli USA. Si è voluto dare un duro colpo all’immagine di Putin con un blitz che non è neanche un’invasione militare: l’esercito siriano si è arreso senza sparare. Può darsi che si sia sviluppata la stessa dinamica vista a Kabul; si sono comprati i militari, assicurando soldi e immunità a qualche personaggio strategico, in modo che quando Assad ha capito la malaparata è scappato.
Cosa significa la fuga di Assad per tutta la regione?
È un cambiamento che ha grosse implicazioni per tutta l’area, di cui vedremo gli effetti solo fra qualche tempo.
Ma per l’Occidente questa è la mossa giusta o gli USA (e anche l’Europa) avrebbero dovuto muoversi diversamente?
L’Europa subisce passivamente tutto ancora una volta. Sono perplesso davanti a questa situazione, perché analoghe operazioni condotte nel passato hanno prodotto dei disastri. Mi riferisco all’Iraq di Saddam Hussein, dove, caduto il dittatore, il Paese è sprofondato in una guerra civile e oggi tendenzialmente è in mano agli sciiti, ma anche all’Afghanistan: dopo vent’anni di guerra si è rimasti con un pugno di mosche in mano. In Libia si sprecavano gli evviva per la caduta di Gheddafi e il Paese è ancora oggi ingestibile, diviso in bande. Se si fa cadere un dittatore laico per mettere al suo posto dei fondamentalisti islamici, come sono i jihadisti, la storia dimostra che si tratta di operazioni che alla lunga si ritorcono contro chi le ha ideate o permesse.
Cosa può succedere in questo nuovo scenario?
Il timore è che la parte di Siria controllata dai jihadisti finirà per essere un luogo di gestazione e proliferazione di quell’estremismo islamico sunnita che tanto male ci ha fatto. Al Jawlani, salutato da tutti con grande simpatia, intervistato dalla CNN, che i media occidentali presentano come un moderato, in realtà ha una storia personale terrificante: ha lasciato la carriera di medico per aggregarsi ad Al Qaeda, poi all’Isis, sulla sua testa c’è una taglia americana da 10 milioni di dollari e la sua organizzazione è nella lista dei terroristi stilata dall’ONU. Tutto questo getta un’ombra sugli sviluppi possibili di questo nuovo regime.
Questa operazione è finalizzata solamente alla cacciata di Assad o c’è un progetto più ampio per gestire la Siria?
Quando cadde Saddam Hussein ebbi la fortuna di intervistare Colin Powell, ex capo di stato maggiore delle forze USA e poi segretario di Stato con Bush. Gli chiesi: “Va bene, Saddam è caduto, ma ora chi governerà?”. Fece osservazioni talmente generiche ed evanescenti che mi ricordavano quelle di uno studente impreparato all’università. In questa vicenda ancora una volta prevale quello che si vuole distruggere rispetto a quello che si vuole creare. Sono riusciti a mettere in difficoltà Putin, a regolare i conti con Assad, che doveva già cadere nel 2011, hanno interrotto il flusso dei rifornimenti che dall’Iran attraverso la Siria andavano agli Hezbollah: sono questi gli obiettivi che Turchia e Occidente in modo molto compiaciuto hanno voluto raggiungere. Per il resto, però, non si sono neanche chiesti cosa faranno questi jihadisti una volta al potere.
C’è un rischio effettivo di frammentazione del Paese?
Ora in Siria c’è una parte dove ci sono i curdi, una dove ci sono gli americani, le basi russe e poi l’area dei jihadisti: una situazione di grande fragilità. Passato un primo periodo di assestamento, cosa faranno questi signori del territorio che controllano? Lo useranno per inviare terroristi islamici in tutto il Medio Oriente e magari in Occidente? Non ne sappiamo nulla. Seguo queste vicende con scarsa fiducia nella lungimiranza degli occidentali. Oggi tutti esultano per la caduta del dittatore Assad, ma non vorrei che quelli che arrivano siano peggio di lui. Fomenteranno la violenza religiosa? Cosa sarà delle comunità cristiane? Non me la sento di stappare la bottiglia di champagne.
Tutto questo per Israele cosa significherà: dovrà semplicemente avere a che fare con una nuova minaccia, solo diversa rispetto a quella di Assad?
Netanyahu ha esultato per la caduta di Assad. Per il resto noi non sappiamo tutto; la storia insegna che certe decisioni vengono prese in base ad accordi che poi talvolta verranno scoperti solo dagli storici. Però qui abbiamo a che fare con estremisti islamici tagliagole che fino all’altro ieri venivano cacciati in tutto il mondo perché responsabili dell’11 settembre. Ci si può fidare di questa gente? Israele scatena questa grande operazione contro l’estremismo sunnita di Hamas, e gli va bene che ci siano gli estremisti islamici in Siria? Non vedo la logica. Sono stati interrotti i rifornimenti iraniani a Hezbollah, va bene, ma se ora i principali nemici diventano i miliziani di HTS che si fa?
Insomma, non si va verso una pacificazione ma verso altre destabilizzazioni?
Su questo bisognerebbe ragionare. Invece, la maggior parte dei media si limita alla superficie, a esaltare la caduta di Assad.
I turchi, i veri sponsor di HTS, si sono fatti garanti del loro operato con gli altri attori della regione?
È possibile. Ma siamo sempre lì. Può darsi che i nuovi leader all’inizio restino tranquilli, ma sono dei fanatici integralisti. Magari domani, una volta che non c’è più Erdogan, sono capaci di sottrarsi anche all’influenza turca. Si gioca con il fuoco.
I russi rischiano di perdere le loro basi militari in Siria?
Putin ha subito un duro colpo. La sua immagine di difensore nei confronti dell’imperialismo americano, turco o di chicchessia, è incrinata. Credo che i jihadisti con la Russia abbiano raggiunto una sorta di accordo: noi russi non vi spariamo contro, voi non attaccate le nostre basi. Non per niente la reazione del Cremlino è stata tutto sommato moderata. Le incognite, tuttavia, sono ancora tante: non sappiamo se i russi potranno rimanere o cosa comporterà un’eventuale rimozione delle basi.
C’è un rischio di destabilizzazione dei Paesi vicini alla Siria?
C’è da chiedersi se la Giordania rimarrà così com’è o dalla Siria verranno infiltrati elementi estremisti, se Damasco offrirà una sponda ad Hamas. Non bisogna esultare troppo presto, ma essere attenti a tutte le ripercussioni.
(Paolo Rossetti)
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