Il problema di Milano non sono tanto le inchieste, quanto il modello di sviluppo fondato sulla preponderanza dei capitali privati e le diseguaglianze
“Negli anni 70 la deindustrializzazione e la crescita spropositata del settore pubblico avevano portato la nostra città sull’orlo del disastro sociale e finanziario. La riscossa degli anni 80 – cha ha aiutato a salvare la città – si è tradotta in un abbraccio improvviso del capitalismo più sfrenato. I leader della città hanno drasticamente ridotto la loro azione di governo, facendo di tutto per incoraggiare il reinvestimento di capitali privati nella città. Il successo è arrivato, ma ad un costo”.
“La nuova economia postindustriale della città è stata guidata dalla finanza e dal settore immobiliare e questo ha generato ricchezze enormi. Nel processo, tuttavia, la città è diventata un luogo in cui sempre meno persone si sono potute permettere di vivere (…) Le diseguaglianze fra l’élite della città e quasi tutti gli altri abitanti non hanno mai smesso di crescere (…) È un capitolo iniziato 40 anni fa e si sta chiudendo”.

Queste righe si potevano leggere, lunedì scorso, sul più importante quotidiano di una grande metropoli occidentale. Che non è Milano. Ma letto da Milano è venuto immediato pensare che parlassero di Milano.
Ieri a Milano il Tribunale del Riesame ha accolto la richiesta di annullamento delle misure cautelari per due dei sei arrestati nell’inchiesta sull’urbanistica che vede indagato anche il sindaco Beppe Sala. Nuovi leaks di intercettazioni hanno tuttavia tenuto caldo e polemico il clima d’opinione. Il caso giudiziario resta aperto. Quello politico anche. Per chiudere quello socioeconomico ci vorrà molto più tempo.
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