Cellule cerebrali umane nei topi/ “Così possiamo studiare autismo e schizofrenia”

- Josephine Carinci

Cellule cerebrali umane nei topi per studiare al meglio autismo e schizofrenia: cosa ha scoperto la ricerca della Stanford University

Cervello Cervello (Pixabay)

Cellule cerebrali umane nei topi: organoidi impiantati nei topi

Scienziati della Stanford University hanno portato avanti uno studio che ha previsto un trapianto di cellule cerebrali umane nel cervello di piccoli ratti. Qui, le cellule si sono sviluppate creando delle connessioni. L’intento della ricerca è quello di capire al meglio lo sviluppo del cervello umano e le malattie che colpiscono questo organo complesso. “Molti disturbi come l’autismo e la schizofrenia sono probabilmente unicamente umani, ma il cervello umano non è molto accessibile. Questi studi servono per capire queste condizioni” ha affermato il dottor Sergiu Pasca, autore senior dello studio pubblicato su Nature.

Precedentemente, il team aveva lavorato alla creazione di “organoidi” cerebrali, strutture che ricordano organi umani. Per la creazione, gli scienziati hanno trasformato le cellule della pelle umana in cellule staminali e infine in cellule cerebrali. Queste si sono poi moltiplicate fino a formare organoidi simili alla corteccia cerebrale. Tali organoidi sono stati poi trapiantati in cuccioli di ratto di 2 o 3 giorni. Tali organoidi sono cresciuti in modo tale da occupare un terzo dell’emisfero del cervello del topo.

“I neuroni umani possono influenzare il comportamento di un animale”

Pasca, professore di psichiatria presso la Stanford School of Medicine, ha spiegato che è la prima volta che tali organoidi sono stati inseriti nei cervelli di ratto. Hanno così creato “il circuito cerebrale umano più avanzato mai costruito da cellule della pelle umana e una dimostrazione che i neuroni umani impiantati possono influenzare il comportamento di un animale”. Per capire cosa potesse succedere, gli scienziati hanno inoltre trapiantato organoidi in entrambi i lati del cervello di un ratto. Uno proveniva dalle cellule di una persona sana e un altro dalle cellule di una persona con la sindrome di Timothy.

Cinque o sei mesi dopo, gli scienziati hanno visto gli effetti della malattia. I topi hanno infatti riportato difficoltà nell’attività elettrica delle due parti le cellule della persona con sindrome di Timothy. Il dottor Pasca e il suo team hanno rassicurato tutti dopo le polemiche sorte, spiegando che si sono presi cura dei topi.





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