Pichetto Frati vuole derogare la chiusura delle centrali a carbone in Italia: l'idea è quella di tenerle aperte, ma senza produzione energetica
Mentre si avvicina l’obbligo per l’Italia – ai sensi degli impegni presi con la Commissione Europea – di chiudere e smantellare le centrali a carbone per la produzione di energia elettrica, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin si prepara a presentare la richiesta a Bruxelles affinché siano considerate impianti strategici al fine di mantenerle aperte (ma non operative) a pronte alla produzione per eventuali futuri shock energetici.
Partendo – per capire meglio il fenomeno – dai numeri, è importante ricordare che fino a qualche anno fa le centrali a carbone erano tra le principali fonti energetiche nel nostro paese: nel 2017, infatti, la percentuale di energia prodotta a partire dal carbone in Italia era di circa il 10% del totale, ma in seguito agli accordi di Parigi si è progressivamente ridotta fino a rappresentare nel 2023 (ultimo anno di cui abbiamo a disposizione i dati) appena il 5,3% del nostro mix energetico; mentre ad oggi complessivamente nel paese restano attive solamente quattro centrali a carbone tra Sardegna (due impianti), Puglia e Lazio.
Il piano italiano per le centrali a carbone: “Non produrranno energia, ma vogliamo tenerle aperte e pronte a entrare in funzione”
Come dicevamo già prima, l’impegno preso dell’Italia con la Commissione UE è quello di chiudere completamente le centrali a carbone entro la fine del 2025 in modo da aumentare la presenza di rinnovabili nel mix energetico e ridurre l’impatto ambientale prodotto dalle fonti fossili: un obbiettivo che l’attuale esecutivo intende rispettare, ma con una piccola clausola anticipata ieri dal ministro Pichetto Fratin durante l’evento romano di Elettricità Futura.

Il ministro, infatti, intende confermare con Bruxelles l’impegno di ridurre a zero l’energia prodotta dalle centrali a carbone, ma chiedendo – al contempo – la possibilità di derogare lo smantellamento: secondo Pichetto Fratin, infatti, le centrali potrebbero rivelarsi utili a fronte di “eventi straordinari” che ci costringano a correre ai ripari se il paese venisse messo “in difficoltà” nell’approvvigionamento energetico; citando – per esempio – il fatto che l’anno prossimo la Francia dovrà temporaneamente chiudere le sue centrali nucleari e non potrà fornirci gli attuali 40 terawattora annuali.
Ovviamente tenere le centrali a carbone aperte ma a produzione zero avrà un costo – sul quale, promette il ministro, verranno avviate le dovute consultazioni non appena ci sarà Bruxelles darà l’eventuale via libera al piano italiano – e proprio per questa ragione l’idea sarebbe quella di conferire alle centrali lo status di “impianti strategici” in modo da poter estendere le deroghe sugli aiuti di Stato per poter concedere dei ristori ai gestori delle centrali a carbone e ai dipendenti.
