Italiani preoccupati soprattutto per la sanità (37%) ma poi viene l'occupazione e il continuo aumento delle diseguaglianze sociali
Salute e lavoro. Sono queste le preoccupazioni che agitano gli italiani. Fino a qualche tempo fa l’ordine era invertito: l’occupazione era la prima indiscussa causa di apprensione per le persone. Oggi, invece, a impensierire sono i servizi sanitari, soprattutto per colpa delle liste di attesa che inducono spesso a rivolgersi al settore privato per avere visite, esami e cure. Riguardo all’impiego, tuttavia, gli italiani sono i più preoccupati d’Europa, ed è così già da qualche tempo.
Su questo, spiega Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos e docente di teoria e analisi delle audience all’Università La Sapienza di Roma, incidono la precarietà dei posti di lavoro, la loro instabilità, i salari e il fatto che la maggioranza delle nostre imprese sono piccole e piccolissime, il che le espone maggiormente agli eventi avversi. A causare apprensione, poi, sono anche le tasse e le disuguaglianze sociali, mentre l’inflazione non è più in testa ai pensieri della gente o, meglio, lo è meno di prima.
Perché gli italiani sono così preoccupati dal lavoro, proprio nel momento in cui i dati ci raccontano di un’occupazione record?
I numeri non raccontano tutta la verità. L’Italia da diversi anni è prima in Europa riguardo alle preoccupazioni per il lavoro, visto che questo tema mette in apprensione il 32% delle persone. Paesi come Francia e Germania da questo punto di vista sono a una distanza siderale. Siamo tallonati dagli spagnoli, tra i quali la percentuale dei preoccupati è del 28%, ma i tedeschi sono al 10%, i francesi al 12% e in Gran Bretagna si arriva al 15%. Siamo a più del doppio rispetto a tutti questi Paesi.
Quali sono i motivi di questa ipersensibilità al tema in confronto agli altri europei?
Sicuramente incide l’alto tasso di precarizzazione, soprattutto per i giovani, oltre al fatto che abbiamo un universo industriale caratterizzato da tantissime piccole imprese, più o meno il 90% di quelle complessive. In quanto piccole hanno anche un’esistenza produttiva più fragile. Infine incidono i tassi di parità di genere, che sono comunque inferiori a Paesi come la Germania, la Francia o la Gran Bretagna, e i salari bassi. Dentro questo 32% ci sono persone che hanno paura di perdere il posto, che percepiscono il loro lavoro come instabile, che constatano la bassa qualità del lavoro stesso o l’inadeguatezza della remunerazione.
Il lavoro è uno dei fondamenti della vita familiare e sociale, l’insicurezza per l’occupazione su cos’altro si riflette? Il fatto che il 28% degli italiani sia preoccupato anche per la crescita delle disuguaglianze sociali è legato a questa insofferenza?

Nella percezione della maggioranza l’ascensore sociale è completamente bloccato. Nel 2003 il 70% degli italiani si sentiva ceto medio, oggi siamo al 35%, in questi 22 anni c’è stato un processo di infragilimento della società. Inoltre se guardiamo alle persone che dicono di aver migliorato la loro condizione economica e sociale nell’ultimo anno, vediamo che sono più o meno il 10%, e si tratta di gente che già sta bene, sono ceto medio o upper class. La percentuale si abbassa allo 0,9%, invece, se si parla dei ceti popolari. Chi sta bene migliora, chi vive in condizioni di disagio deve essere contento se non peggiora.
Come mai l’inflazione (27%) sembra preoccupare meno rispetto a prima?
L’inflazione è presente, ma non è galoppante come è stata nel periodo che ci siamo lasciati alle spalle, quindi c’è un rallentamento dell’ansia per i suoi effetti. Dobbiamo ricordarci, tuttavia, che se ora aumenta “solo” del 2% sui prodotti alimentari, in realtà questo dato va sommato a tutti gli aumenti precedenti, quando è stato anche del 12%. Non è che i prezzi alimentari stiano calando, semplicemente rallenta la fase di aumento, anche se questo ha generato una situazione in cui c’è meno ansia.
E le tasse?
Le tasse sono una preoccupazione costante per il 28% degli italiani. Quando si parla di bassi stipendi uno dei temi è proprio l’alto livello di tassazione per ogni lavoratore.
Le preoccupazioni economiche sono tra quelle più frequenti, ma in cima alla classifica dell’apprensione c’è la sanità, che non solo vanta questo triste primato, quello di agitare più di ogni altro i sonni degli italiani, ma ha anche fatto segnare un aumento repentino del 3% delle persone che la mettono in cima ai loro pensieri. Perché la situazione sta precipitando?
Fino a tre o quattro anni fa il primo tema era quello del lavoro. Oggi, invece, la preoccupazione della qualità dei servizi sanitari (37%) lo ha scavalcato. Le persone avvertono che in questi anni la qualità dei servizi sanitari è calata: non c’è stato un miglioramento delle prestazioni, ma si devono affrontare sempre di più tempi lunghi per visite o esami oppure bisogna rivolgersi alle strutture private.
Siamo un Paese che vuole la sanità pubblica e la vuole efficiente, ma ci sono intere zone dove si incontrano difficoltà ad avere un medico di base. Il grado di preoccupazione è superiore a quello dei principali Paesi europei: la Spagna è al 29%, la Francia al 23%, la Germania al 19%. Ci superano solo Ungheria, Polonia e Irlanda.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
