CINA/ Persecuzioni religiose, anche i cattolici al bivio tra il rosso e il nero

- Massimo Introvigne

Da quando Xi Jinping è salito al potere la libertà religiosa in Cina è sempre più limitata. E nel 2020 le persecuzioni sono destinate a essere più dure. Anche verso i cattolici

xijinping cina 1 lapresse1280 640x300 Il presidente cinese Xi Jinping (LaPresse)

Da quando Xi Jinping è arrivato al potere – nel 2012 come segretario del Partito comunista cinese (Pcc) e nel 2013 come presidente – le notizie per la libertà religiosa in Cina sono sempre e solo cattive. Anno nuovo, persecuzione vecchia, dunque? Purtroppo no. Sappiamo già che nel 2020 ci sarà più persecuzione, e contro tutte le religioni.

Il Pcc non sceglie mai le date a caso. Il 30 dicembre 2019 è stata annunciata la sentenza contro Wang Yi, pastore di una delle più grandi Chiese protestanti non autorizzate dal governo, la Early Rain Covenant Church di Chengdu, dopo un processo seguito con preoccupazione dal mondo protestante internazionale. Il pastore Wang è stato condannato a nove anni di carcere, per il solo crimine di aver creato e fatto prosperare un’organizzazione religiosa non controllata dal regime.

Lo stesso giorno, 30 dicembre, il Pcc ha annunciato l’approvazione di nuove “Misure per i gruppi religiosi”, che entreranno in vigore il 1° febbraio 2020, a due anni dall’entrata in vigore (1° febbraio 2018) della legge quadro sulle religioni del 2017, già considerata la più restrittiva dai tempi di Mao. Con la legge del 2017 si era avuto il più duro giro di vite degli ultimi quarant’anni sulle comunità religiose che non fanno parte delle cinque organizzazioni “ufficiali” e “patriottiche” (una ciascuno per cattolici, protestanti, buddhisti, taoisti e musulmani), i cui dirigenti sono nominati e strettamente controllati dal Pcc.

Con la legge del 2019, si fa un passo avanti: si fa obbligo a tutte le organizzazioni religiose di inserire nelle cerimonie, nei sermoni e nell’insegnamento i documenti del Pcc e le opere del presidente Xi Jinping, di cui ci sono segni crescenti di “divinizzazione” – con tanto di statue e ritratti intronizzati al centro di chiese e templi – che ricordano il culto della personalità di Mao e che sarebbero grotteschi se non fossero allarmanti.

Per capire che cosa succede, è utile la distinzione corrente fra i sociologi, e proposta originariamente dallo specialista cinese Fenggang Yang, fra tre segmenti della religione in Cina: rosso, nero e grigio.

Il segmento rosso comprende appunto le cinque organizzazioni religiose ufficiali (per i cattolici, la cosiddetta Chiesa Patriottica), che possono operare alla luce del sole, ma non senza restrizioni. Per esempio, i minorenni – compresi i lattanti in braccio alle madri – non possono entrare nei luoghi di culto né essere destinatari di nessuna forma d’istruzione religiosa, neppure in famiglia (le scuole interrogano sistematicamente gli allievi alla ricerca di eventuali violazioni). L’attività missionaria è vietata. Anche i luoghi di culto del segmento rosso possono essere demoliti se non rispettano queste restrizioni.

All’estremo opposto il segmento nero comprende le organizzazioni religiose che il Pcc considera nemiche del partito e dello Stato e inserisce in una lista nera di gruppi chiamati in cinese “xie jiao”. Spesso gli occidentali traducono questo termine con “sette”, ma la traduzione è filologicamente e culturalmente sbagliata.

In Cina ci sono liste di “xie jiao” (letteralmente “insegnamenti eterodossi”) fin dall’epoca Ming (allora, nella lista c’era il cristianesimo nel suo insieme), che l’autorità politica decide di mettere al bando per motivi spesso squisitamente politici. In questa categoria rientra il Falun Gong, ma anche gruppi cristiani con milioni di seguaci e che fanno pacificamente parte del protestantesimo come gli Shouters (letteralmente “urlatori”, per la pratica d’invocare il nome di Gesù ad alta voce). E oggi la palma, di cui preferirebbe certamente fare a meno, di gruppo più perseguitato va alla Chiesa di Dio Onnipotente, un nuovo movimento religioso di origine cristiana, il quale ritiene che Gesù sia tornato sulla terra e si sia incarnato nella persona che lo ha fondato, una donna cinese che oggi vive in esilio all’estero. Le vicende di persecuzione, incarcerazione di decine di migliaia di fedeli, torture, omicidi extra-giudiziali contro membri della Chiesa di Dio Onnipotente sono state ripetutamente denunciate da organi delle Nazioni Unite e nei rapporti sulla libertà religiosa del governo degli Stati Uniti.

In mezzo c’è il segmento grigio. Qui troviamo la maggioranza dei credenti cinesi, i quali si recano in “chiese domestiche” protestanti, moschee (nello Xinjiang, ma non solo), templi buddhisti (in Tibet, ma non solo) e templi taoisti che rifiutano per ragioni di coscienza di aderire alle organizzazioni governative, considerandole semplici articolazioni di un partito ateo. Dopo gli orrori della Rivoluzione culturale, il segmento grigio ha goduto per decenni di una relativa e limitata tolleranza. Ora non più.

Dal maggio 2018 dirigo un magazine quotidiano d’informazione sulla religione in Cina, “Bitter Winter”, pubblicato in cinque lingue tra cui l’italiano. Ogni giorno diamo notizia di chiese, moschee e templi rasi al suolo. Lo scopo delle nuove leggi è chiaro: distruggere il segmento grigio della religione, costringendo le comunità a rientrare nel segmento rosso e condannando quelle che rifiutano alla dannazione del segmento nero.

Del segmento grigio faceva parte fino al 22 settembre 2018 la “Chiesa clandestina” cattolica, che rifiutava di farsi assorbire dalla “Chiesa patriottica”, una delle cinque componenti del segmento rosso. Com’è noto, il 22 settembre 2018 la Santa Sede e il governo cinese hanno firmato un accordo, il cui testo rimane segreto, con cui i vescovi sono proposti dal Pcc ma nominati dal Papa, i vescovi “patriottici” prima contestati da Roma sono stati “legalizzati” dalla Santa Sede, e dunque la “Chiesa clandestina” dovrebbe cessare di esistere confluendo in quella “patriottica” per formare un’unica Chiesa cinese leale insieme al governo e a Roma.

La Santa Sede, con una direttiva pubblicata il 28 giugno 2019, ha però chiarito che i cattolici obiettori che rifiutano per ragioni di coscienza di entrare nell’organizzazione “patriottica” devono essere trattati “con rispetto”. Non sembra questa l’interpretazione dell’accordo da parte del Pcc, dal momento che “Bitter Winter” documenta regolarmente come i cattolici obiettori di coscienza finiscano in prigione.





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