Bertuccio parla dei sacrifici che la sua famiglia deve fare per poter convivere sotto scorta: suo padre ha dovuto rinunciare al motorino, suo figlio a giocare a pallone con quegli amici che non ci sono più. La paura dilaga sovrana in paese e l’imprenditore ammette di comprenderli tutto sommato, perché la paura è qualcosa che non si può effettivamente tenere sotto controllo. Le cose sono un po’ cambiate ultimamente e le persone si stanno un po’ più aprendo perché come ammette Bartuccio la maggior parte delle persone sono oneste e lavoratrici e non bisogna darla vinta a quei pochi che vogliono farle soccombere. Vengono mostrate delle fasi dell’arresto di due importanti latitanti della ‘Ndrangheta, ricercati da 10 anni e che sono stati consegnati allo Stato e alla Giustizia.
Continua Speciale Cose Nostre, con Antonino Bartuccio che spiega di essersi avvicinato alla politica dopo l’omicidio del 18enne Francesco Inzitari, figlio di un politico locale. Si candida così come sindaco, ma nonostante la consapevolezza dei rischi Bartuccio va dritto per la sua strada nonostante il comune fosse già sciolto per infiltrazioni mafiose locali. Nel 2010 diventa così sindaco a sorpresa, perché l’altra lista non fu ammessa per irregolarità. La giovane giunta da lui formata durò però soltanto un anno dal momento che i boss locali costrinsero tutti, uno dopo l’altro, a dimettersi. Dopo essersi dimesso pure lui, Nino Bartuccio ha denunciato i componenti dei clan facendoli arrestare. Dopo essere stato picchiato, dopo che il figlio tredicenne e il padre di 70 anni sono stati aggrediti, Bartuccio è tornato a svolgere il suo lavoro sotto la protezione della scorta.
La pressione della ‘Ndrangheta diventa però insostenibile e l’imprenditore decide di filmare ogni incontro, raccoglie prove, fa qualsiasi cose per tentare di mettere ko il nemico. Registra anche gli incontri con i latitanti, al cospetto dei quali, come dichiarato, lo facevano sentire nessuno mischiato al nulla. Rischiando la vita, l’uomo raccoglie informazioni molto importanti evidenziando come tutte le famiglie siano indirizzate insieme al raccolto del pizzo ed altre attività, ispirate al ‘principi dell’unitarietà’. Diventa un testimone di giusizia e la vita sua e della sua famiglia è ora blindata, così come la sua azienda. Gaetano ha deciso di restare a Palmi, nonostante il fatturato della sua azienda, dopo gli arresti siano calati del 90% e il personale sia passato da 65 a 5 dipendenti. L’uomo però non si arrende e ormai da 15 anni vive sotto scorta e finisce con il partecipare a gare pubbliche diserte, per abbattere le costruzioni, edifici, ville appartenenti a famiglie della ‘Ndrangheta. Saffioti resta comunque un uomo libera e vive nella sua terra: l’amata Calabria. Passiamo ad Antonino Bartuccio, ex sindaco di Rizziconi, regno della cosca Crea, tra le più spietate e sanguinarie della criminalità organizzata.
De Masi, nello Speciale Cose Nostre, vuole rimanere in Calabria perché si sente un combattente e non vuole deludere le persone che lavorano con e per lui. Non vuole mollare e realizzare le sue invenzioni nella sua terra: la Calabria. Il suo sogno più grande è quello di meccanizzare la raccolta della frutta, esportando la sua opera in tutto il mondo. Suo padre Giuseppe, che anch’egli vive sotto tutela, ha in testa sempre le sue macchine e pensa sempre a cosa progettare per il lavoro della famiglia. Passiamo a Gaetano Saffiotti, imprenditore nel campo delle costruzioni, che vuole rimanere anch’egli nella sua terra. Siamo a Palmi, un piccolo paese sul mare a nord di Reggio Calabria. Qui ha avuto luogo negli anni ’70 una sanguinosa faida per la conquista del territorio e che ha causato 60 morti in 10 anni. Gaetano cresce in questo clima. Suo padre Vincenzo, agricoltore, subisce molto della ‘Ndrangheta ma cerca di non far pesare ai suoi figli la situazione. L’imprenditore continua a coltivare la passione per i mezzi meccanici e riesce a farne un lavoro, diventando imprenditore in uno dei settori più esposti al movimento della ‘Ndrangheta. La criminalità organizzata però comincia a chiedere il suo tributo. L’uomo decide di combattere le minacce subite, dopo aver inizialmente subito le intimidazioni della ‘Ndrangheta.
Antonino De Masi è un imprenditore perseguitato dalla malavita. Sin da giovane ha seguito l’attività fondata dal padre nel campo della meccanizzazione agricola e si è imposto all’attenzione pubblica per la sua lotta contro la criminalità organizzato. Le aziende della sua famiglia sono diventate leader in tutto il mondo nel genere, ma le sue aziende sono in crisi per mancanza di credito. Quel credito che non gli è stato più concesso dopo aver denunciato delle banche nazionali per aver commesso il reato di usura. Per 12 milioni di euro di linea di credito, gli furono chiesti circa 6 milioni di interesse. L’uomo vive sotto scorta dall’aprile 2013 quando sono stati sparati 44 colpi di kalashnikov alla sua azienda a Gioia Taura. Inizialmente si pensava ad un fatto estorsivo, ma poi ci si rese conto che la ritorsione guardava i conteiner del porto di Gioia Tauro e che la ‘Ndrangheta utilizzava per droga. Si tratta dunque di intralciare la strada della ‘Ndrangheta verso il commercio di droga per milioni e milioni di euro. In un comunicato, De Masi annunciò la chiusura delle sue aziende dal porto. Dopo aver visto il volto delle Istituzioni pubbliche, il volto dello Stato. Le isituazioni gli chiesero di non mollare, per non uccidere le speranze di persone che vedevano in lui anche la possibilità di rinascita, di vita, della Calabria. L’uomo decise di credere nello stato. Sono due anni che i cancelli dei suoi stabilimenti sono sorvegliati dall’esercito, in nome di una battaglia per la legalità.
Le indagini riguardanti la morte di Fortunato La Rosa non hanno condotto a piste attendibili, anche battendo strade diverse da quella mafiosa. Dopo la morte dell’uomo, suo moglie ha deciso non solo di restare a casa sua (mentre tutti le consigliavano di andare via dalla Calabria per raggiungere i suoi figli), ma anche di fare la raccolta delle olive della terra di Fortunato. Tutto per dimostrare a chi lo ha ucciso che alla fine eliminare suo marito non è servito proprio a nulla. Viviana decide dunque di rimanere in Calabria e prendersi cura dei terreni che suo marito tanto amava. Gli animali continuano ad entrare nella sua proprietà privata e nessuno sa nulla. Per la sua terra ovviamente Viviana nutre un sentimento di odio e di amore, amore per continuare ciò che suo marito voleva e odio per quello che la terra ha causato: cioè la morte di suo marito. Nel 2015, il caso La Rosa sembra ad una svolta con la Procura di Reggio Calabria che arresta due persone, esponenti della ‘Ndrangheta. Gli unici due indagati però rivengono messi in libertà e il PM ha chiesto l’archiviazione del caso. Passiamo ora alla storia di Antonino De Masi, imprenditore della piana di Gioia Tauro, che vuole rimanere in Calabria.
La prima storia è quella di Viviana Valletti, una donna che era un medico ed ora è in pensione. Il marito era un medico oculista, Fortunato De Rosa, che, dopo aver esercitato la sua professione, si è dedicato alla coltivazione delle terre ereditate dalla sua famiglia in un piccolo paese sull’Aspromonte, tra montagne stupende e vista sul mare: Canolo. L’uomo ha un legame molto stretto con la sua terra e tutti i gionri da Locri percorre la strada per raggiungere il paese dove trascorre felice le sue giornate. Una dedizione davvero enorme che porta Vittorio a valorizzare enormemente la sua terra, sua moglie invece non condivideva questa passione quasi ossessiva. L’uomo è stato ucciso nel 2005 con tre colpi di fucile perché osò chiudere il passaggio del suo campo alle mandrie di mucche della ‘Ndrangheta (le cosiddette “vacche sacre”) che per una legge criminale, ovviamente non scritta, possono pascolare libere in ogni proprietà. Le persone intervistate in paese ricordano tutte il dottor La Rosa, ma tutte ‘ignorano’ il perché sia morto. Amato e stimato da tutti, La Rosa era un punto di riferimento per la sua comunità non preoccupandosi delle terre che gli avevano bruciato e delle mucche che gli avevano invaso le terre… La moglie di Vittorio, il giorno in cui è stato ucciso, doveva essere con lui ma era rimasta a casa per delle faccende di tipo familiare. I carabinieri si sono affrettati ad informare la donna, dopo che Vittorio nei suoi campi era stato raggiunto da colpi di armi da fuoco, un fucile che ha sparato 4 volte e che lo ha colpito agli organi vitali.
Cose nostre è il programma che Rai 1 trasmette questa sera e che racconte le storie di chi ha amato la propria terra, al punto da non lasciarsi intimorire neppure dalla ‘Ndrangheta, criminalità organizzata nata in Calabria e ramificata in tutta Italia. Una scelta che queste persone hanno però pagato a caro prezzo. Il programma parla di imprenditori, amministratori o medici che hanno deciso di non abbandonare la bellissima Calabria, a cui i criminali vogliono rubare il futuro. Ascolteremo la storia di Antonino Bartuccio, ex sindaco di Rizziconi (RC) che vive sotto scorta da quando ha denunciato le ingerenze delle cosche criminali, o quella di Gaetano Gaffiotti che, dopo aver subito intimidazioni dalla ‘Ndrangheta alla quale non diede parte dei proventi del suo cantiere vive sotto scorta da 15 anni. Storie di persone comuni che hanno scelto di combattere e non arrendersi.
“Speciale Cose nostre” di Emilia Brandi sbarca in prima serata su Rai Uno e il dirottere della rete ammiraglia del servizio pubblico ha voluto ricordare a tutti l’appuntamento con un tweet: “STASERA ALLE 21.25 su @RaiUno una puntata speciale di @CoseNostreRai1 per raccontare le importanti storie di chi dice no alle mafie”. In generale gli utenti sembrano apprezzare la scelta coraggiosa di dedicare la prima serata di Rai Uno a un programma che racconta le storie di chi è opposto alla ‘ndrangheta e nel giro di un’ora il cinguettio ha collezionato una decina di like e anche un commento che esprime bene questo concetto: “@AndreaFabiano @RaiUno @CoseNostreRai1 finalmente UN buon esempio di servizio pubblico!!”. Clicca qui per vedere il tweet di Andrea Fabiano.
Cose Nostre sbarca in prima serata oggi, venerdì 8 luglio 2016, per una puntata speciale guidata come sempre da Emilia Brandi: il pubblico del primo canale nazionale avrà occasione di ascoltare, in prime time, storie di imprenditori, medici e più in generale uomini coraggiosi che hanno scelto di opporsi alle ingiustizie e alle tirannie della ‘ndrangheta, e ne hanno pagato il caro prezzo. Sulla pagina Facebook ufficiale della trasmissione sono state riportate alcune delle parole della conduttrice che insieme a Claudio Fava e Antonino Bartuccio ha presentato il programma alla conferenza stampa del 6 luglio scorso: “Abbiamo portato #cosenostre in prima serata per dare a tutti la possibilità di conoscere queste storie” hanno spiegato “per testimoniare l’impegno costante e la volontà di chi opera con coraggio sul territorio, per parlare dello Stato povero e dignitoso capace di vincere questa battaglia”. Clicca qui per vedere il post direttamente dalla pagina Facebook di Cose Nostre.
Oggi, venerdì 8 luglio 2016, in prima serata su Rai 1 andrà in onda Speciale Cose Nostre, con Emilia Brandi e diretto da Andrea Doretti. Il programma racconta le storie di chi si è opposto alla ‘ndrangheta e ha scelto di rimanere a vivere in Calabria. Nel corso della conferenza stampa di presentazione, che si è tenuta il 6 luglio, Emilia Brandi ha spiegato come è nata l’idea di questa puntata in prima serata: “La Calabria è un territorio con un’emergenza palpabile e sensibile. È stato difficile tutto, convincere le persone a parlare. Ce la siamo giocata fino in fondo e siamo andati dove non torneremo. Volevamo sfruttare l’opportunità della prima serata al meglio. La Calabria è una terra che non è raccontata molto televisivamente”. Alla conferenza c’era anche Antonino Bartuccio, ex sindaco di Rizziconi e protagonista dello speciale di “Cose nostre”: “Non ero proprio convinto a raccontare la mia storia visto che c’è ancora il processo in corso. Il motivo principale per il quale ho accettato di raccontare questa storia è perché questa storia potrebbe svegliare qualche coscienza sopita a fare il proprio dovere”.
Oggi, venerdì 8 luglio 2016, su Rai 1 andrà in onda in prima serata su Rai1 una puntata speciale di Cose Nostre, la trasmissione di Emilia Brandi che lo scorso inverno ha raccontato le storie dei giornalisti costretti a vivere sotto scorta per aver denunciato gli affari delle mafie. Nello speciale di questa sera Emilia Brandi presenterà le storie di imprenditori, amministratori e semplici cittadini che si sono opposti alla violenza della ‘ndrangheta pagando un prezzo altissimo, ma scegliendo di continuare a vivere in Calabria. Le storie saranno raccontate in prima persona dal protagonista e verrà contestualizzata nel territorio con filmati e interviste. Si ascolteranno anche le voci di Federico Cafiero de Raho, Procuratore di Reggio Calabria, e di Nicola Gratteri, Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri.
La prima storia è quella di Antonino Bartuccio, ex sindaco di Rizziconi che vive sotto scorta per aver denunciato le ingerenze delle cosche nel suo paese. A Rizziconi nel 2011, sotto la spinta della ‘ndrangheta, si sono dimessi tutti i consiglieri comunali e la giunta di Bartuccio si è sciolta. L’imprenditore Gaetano Saffioti vive sotto scorta da più di 15 anni, dopo essersi rifiutato di sottostare al volere delle cosche Bellocco-Piromalli. Conosceremo la storia di Viviana Balletta, la vedova di Fortunato De Rosa, l’oculista ucciso a Canolo, perché ha chiuso il passaggio del suo campo alle mandrie della ‘ndrangheta. De Rosa è stato ucciso in un agguato mentre tornava a casa in macchina. Oggi la moglie Viviana vive ancora a Locri e continua a coltivare i terreni di Canolo sull’Aspromonte.L’ultima storia è quella di Antonino De Masi. Nonostante le numerose minacce e attentanti – fra cui 44 colpi di kalashnikov esplosi sul suo capannone – l’imprenditore continua a lavorare nell’area portuale di Gioia Tauro. Negli anni ’90 l’azienda De Masi è stata la prima a chiudere per mafia in seguito a un attentato dinamitardo. Oggi la famiglia De Masi vive blindata e continua a produrre in Calabria.