Per il cinema indipendente e la Calabria è un’occasione di mostrarsi al mondo. A Ciambra di Jonas Carpignano, come comunicato a fine settembre, è stato scelto tra le possibili nomination agli Oscar 2018 per rappresentare l’Italia nella corsa per il miglior film straniero. La lista definitiva sarà pubblicata nei primi mesi dell’anno venturo.
Carpignano ha sconfitto la concorrenza di altri 14 film italiani proposti per l’occasione, dopo aver già mostrato il film con successo a Cannes 2017 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs.
Il regista ha avuto grandi collaboratori a supportare la sua visione: il direttore della fotografia Tim Curtin, attivo già nel film precedente di Carpignano, Mediterranea, così come il produttore esecutivo Martin Scorsese, che da grande amante di Rossellini e del Neorealismo non avrebbe potuto ignorare la bellezza del film e la totale simbiosi con le vite narrate.
Carpignano è un maestro nel far compenetrare la finzione con i personaggi reali della comunità rom di Gioia Tauro, racchiusa nella cosiddetta “Ciambra”, con uno stile magmatico più che fluido, dove la camera a mano dà un peso immenso ad ogni gesto.
L’occhio della sua cinepresa vuole seguire, catturare, è vorace e lo si vede nei movimenti, negli scatti della visione. La storia resa in maniera così mimetica sullo schermo è quella del personaggio di Pio Amato, già presente in Mediterranea, giovane rom che nella realtà è legato a Carpignano da un’amicizia fraterna e si è mostrato pienamente all’altezza nel compito di reggere il film su di sé.
Pio nel film interpreta un ragazzo il cui sogno è quello di entrare a far parte del mondo adulto della comunità, entrare quindi nei giochi di potere che il fratello e i parenti regolano per la gestione degli affari. Ogni furto è un tour de force ed una prova di resistenza, sancito da un atto di fedeltà tranciante e crudele: il tradimento dell’amico africano del protagonista, visto negativamente insieme alla sua comunità da parte dei rom.
Per completare il quadro, non manca che un’iniziazione sessuale. Lo sguardo è attaccato agli eventi e alla terra, senza critica, ma con le sue fondamenta nella comprensione di un mondo che ha delle regole su cui certe quotidianità lontane non hanno potere.
L’approccio non toglie nulla al lato esoterico della cultura rom, espresso non attraverso rituali ma ricordi e immagini veloci di un racconto lontano di cui il nonno di Pio è testimonianza e simbolo. Un tempo in cui c’era la possibilità di vagare ed essere liberi, mostrando l’orgoglio senza essere chiusi (anche volendo, per resistenza ed orgoglio) nella casa-prigione della Ciambra. Il passato si ripresenta in visioni che annunciano l’estinzione stessa dei suoi segni nel quotidiano, mostrando il passaggio definitivo verso nuovi modi di vivere ormai ufficiali.
Il film, che pure porta quel titolo, non si ferma all’essere esplorazione della Ciambra: la sua stessa struttura consiste di tante Ciambre, stanze, cellule in cui Pio si muove con una fluidità che è preclusa a tutti gli altri personaggi. Lui fa da saltimbanco tra le zone del mondo sotterraneo da cui il cosmo degli “italiani” è poco visibile, avvicinabile sempre per contrattazioni, regole prefissate.
Raramente si è vista una tale lucidità e simbiosi rispettosa, affettuosa con ciò che è narrato. Spetta a noi cogliere e capire la complessità della loro maniera di stare al mondo. Il linguaggio è un inconscio: ci si ricordi di questo quando si vedrà il film e si proverà a penetrare il suono di un mondo che è dietro l’angolo ma che a molti sembra distante galassie.
(Antonio Canzoniere)