Lasciateci aprire una doverosa parentesi iniziale: ma i nostri politici “ci sono” o “ci fanno”? Per un attimo fate mente locale alla legge elettorale con cui abbiamo espresso il nostro voto lo scorso 4 marzo. Viene chiamato “Rosatellum”, nome dall’aulica apparenza, con quel quid di latinorum che fa tanto liceo classico dei tempi che furono (ricordate? rosa-rosae-rosae-rosam-rosa-rosa…). In realtà, il nome cela un infido meccanismo di voto, un sistema che più… “spinoso” non si poteva architettare. Tant’è che ha fatto vittime illustri.
A partire da Pierluigi Bersani: presentatosi al seggio e ripiegate perfettamente le schede elettorali, le ha riposte nell’urna dimenticandosi clamorosamente di far togliere l’adesivo anti-frode, beccandosi, come uno scolaretto colto senza aver fatto i compiti, l’intemerata della “maestra” (ovviamente, una semplice segretaria di seggio). Morale: voto annullato! E che dire di Matteo Renzi? Sottolineiamo, Matteo Renzi, mica l’ultimo dei grulli. Entrato nel locale del suo seggio, in quel di Firenze, con fare molto garbato e senza remora alcuna, ha chiesto agli esterrefatti scrutatori: “Scusate il disturbo, ma come si vota?”.
C’è di che rimaner basiti! Per contro, cominciamo a capire come mai Liberi e Uguali, accreditata alla vigilia di un buon 6-7%, abbia ottenuto poco più del 3%: i sondaggi come potevano calcolare la (fin troppo ampia?) deriva di elettori di sinistra distratti come Bersani? E se pure il Pd si è trasformato da Partito Dirompente (quando nel 2014 alle Europee raccolse il 40% dei consensi) a Partito Dimezzato (si ritrova oggi con il 18% di elettori, record negativo nella sua storia di Pci-Pds-Ds-Pd), lo deve forse alle (fin troppo disarmanti?) sprovvedutezze davanti alle “lenzuolesche” schede elettorali?
Chiusa la (dovuta e necessaria) parentesi, l’argomento di giornata (che non ha trovato spazio sui quotidiani né tantomeno sui social) ha a che fare con una battaglia elettorale “bestiale”, svoltasi in maniera del tutto sotterranea. Ma per comprenderne la portata, consentiteci anche in questo caso una doppia digressione.
Se si risale a un’indagine dell’Eurispes del 2016, si evince che quasi la metà degli italiani vive con un animale domestico (43,3%) e in due case su dieci ce n’è più di uno. Cani (60,8%) e gatti (49,3%) si confermano i compagni preferiti dagli italiani, seguiti a debita distanza da pesci e tartarughe (entrambi all’8,7%), uccelli (5,4%), conigli (5,2%), criceti (3,1%) e animali esotici (2,1%). A fine classifica si colloca il cavallo, che ha la meglio sui rettili (con l’1,9% contro l’1%) e sull’asino (0,4%). E’ al Centro (23,8%) e nelle Isole (27,5%) che si concentra la maggioranza di persone con animali domestici a carico. L’indagine entra nel dettaglio, indicandoci come Sicilia e Sardegna abbiano una particolare propensione ad adottare più di tre animali (8,1%). In una posizione intermedia il Sud, dove quasi il 22% possiede almeno un pet e il 9,4% ne possiede due.
Arriviamo così alla seconda digressione: molti di voi ricorderanno le grandi manifestazioni per la presentazione del Movimento Animalista di Michela Vittoria Brambilla, Silvio Berlusconi benedicente? È pur vero che il Partito Animalista non si è presentato con un suo simbolo, ma la Brambilla aveva assicurato il proprio impegno e sostegno a favore di Forza Italia. “Caro Silvio, alle elezioni del 4 marzo ti regalerò uno squillante… do di pet!”. E aveva a tal fine sguinzagliato (mai termine fu più appropriato) come segugi (idem come prima) i suoi 250 dirigenti nazionali, regionali e provinciali, nell’intento di convincere i possessori di animali da compagnia a votare per il partito dell’ottuagenario ma giovanilmente plasticato leader azzurro.
Fatti i dovuti conti e constatato l’ampio potenziale bacino elettorale, si può intuire come il voto degli animalisti, specie al Sud e nelle Isole, avrebbe anche potuto cambiare l’esito finale. Tuttavia i risultati hanno dimostrato che: a) la strategia della Brambilla non ha funzionato granchè anche all’interno dello stesso schieramento del centrodestra (molti hanno votato Lega, essendo padroni di cani da caccia e quindi sostenitori dell’attività venatoria, tanto avversata dalla Brambilla); b) per contrastare la mossa del cavallo (mai termine fu più appropriato) di Silvio e Michela Vittoria, Beppe Grillo (che nel suo piccolo di bestialità se ne intende) ci ha pensato su un bel po’ e – rumina che ti rumina (idem come sopra) – alla fine ha tirato fuori il classico coniglio dal cilindro (mai termine fu più appropriato): nel Mezzogiorno, dove molti italiani vivono con uno o più animali da compagnia, i grillini hanno fatto campagna elettorale mettendo in campo i propri rappresentanti animalisti: M5S-Movimento 5 Stalle.
Sappiamo tutti com’è andata, il 4 marzo. Già agli exit poll era tutto chiaro. Alla domanda degli intervistatori all’uscita dai seggi, molti elettori al Sud hanno ammesso: “Ho votato M5S. Con un nome così, come buoi non farlo?”.