Il film "Cinque secondi" commuove e a tratti fa anche sorridere, proiettando una luce nuova sulle difficoltà nel rapporto tra genitori e figli
Presentato alla recente Festa del Cinema di Roma e ora nelle sale, Cinque secondi è una storia apprezzata dal pubblico perché tocca corde profonde del disagio familiare sempre più diffuso nel mondo d’oggi: padri separati, figli divisi nei weekend alternati tra i genitori, ragazzi apparentemente sfaccendati e privi di solidi riferimenti, che cercano però di ritrovare un’armonia con la natura, e anche sensi di colpa che scavano voragini incolmabili nel cuore di giovani e adulti.
Ma il film non si lascia affatto andare solo all’amarezza dei temi trattati, perché sceglie a tratti un registro ironico e mordace verso il politicamente corretto; presenta inoltre un’evoluzione imprevista, una nuova possibilità per chi è schiacciato dal dolore e dai propri errori che appaiono irreparabili, regalando emozioni credibili e sincere.
Il protagonista è il brillante avvocato di successo Adriano Sereni, trasformatosi volontariamente in un solitario e barbuto emarginato, rinchiuso nelle scuderie di una villa nobiliare abbandonata, nella selvaggia campagna toscana.
Il disincantato e burbero Valerio Mastrandea, che lo impersona in modo decisamente efficace in tutto il suo enigmatico isolamento, ci immerge in una tristezza profonda, illuminata solo dagli scarni ma affettuosi messaggi mattutini di saluto sul cellulare, che rivolge al figlio adolescente Matteo, che non risponde mai. Altri contatti diretti, come con un tecnico per le riparazioni minime, necessarie all’abitazione malandata, o con il postino che gli porta misteriose raccomandate, vengono accuratamente evitati da quest’uomo, che sembra voglia solo nascondersi e rimanere solo e incupito nel suo inaccessibile silenzio.
La quiete dolorosa di Adriano viene un giorno interrotta in modo inaspettato dalla rumorosa energia di una brigata scombinata di ragazzi alternativi, con tanto di chitarra e batteria, che occupano abusivamente la villa del conte Guelfi, proprio di fronte alle scuderie affittate dall’avvocato.

In realtà si sono dati un compito preciso: far germogliare di nuovo le vigne abbandonate della proprietà, per produrre un vino artigianale di qualità, nel rispetto assoluto della natura, secondo i dettami del nuovo mondo ecologista: giovani apparentemente vagabondi (in realtà tutti laureati e ben preparati), senza padri o che addirittura i padri li considerano inutili, come dichiara provocatoriamente una di loro, l’esagitata contessina Matilde (un’ottima e promettente Galatea Bellugi, che sfrutta nella recitazione le sue origini toscane), quando si ritrova con il pancione.
Ed è qui il punto di svolta per il misantropo, padre fallito in autoesilio che, irritato dagli invasori, vorrebbe farli cacciare con la forza della legge. Ma la maternità della ragazzina ribelle l’intenerisce e fa scattare una preoccupazione “paterna” che incuriosisce Matilde, a sua volta segnata da una storia dolorosissima. Addirittura Adriano difenderà i ragazzi in questura, da abile avvocato qual è, aprendo così un rapporto imprevisto con loro.
Intanto riceve la visita della svampita ma affezionata collega (la frizzante e squinternata Valeria Bruni Tedeschi, che non si smentisce in un ruolo sopra le righe), che a tutti i costi vuole portarlo in tribunale, dove scopriamo è accusato dalla moglie per la morte della figlia disabile Elena, l’esordiente e brava Caterina Rugghia. Si apre così un altro capitolo del film, in cui si risale alla causa del drammatico ritiro sociale dell’avvocato di successo.
Ciò che ha spinto Adriano a isolarsi dal mondo è infatti un incidente al lago in cui è annegata la figlia e di cui si sente tragicamente colpevole. Non è infatti riuscito a salvarla proprio… per cinque secondi (così si spiega il titolo del film), lui che faceva di tutto per regalarle momenti di felicità in una vita segnata da una malattia progressiva debilitante.
Il momento più alto e commovente del film è proprio la sua ammissione totale di colpevolezza, accompagnata dalla richiesta sincera di perdono alla moglie, a sua volta commossa, e all’altro figlio Matteo, in quel tribunale dove più volte non si era neppure presentato, autocondannandosi preventivamente. Un’autocondanna che non gli impedirà di essere però vero padre per Matilde quando – sicura di poter far nascere la figlia in casa con l’aiuto della sua amica sciamana – si troverà invece da sola nel momento delle doglie.
Sarà proprio Adriano a intervenire con coraggio e a far partorire la contessina, in una notte buia e tempestosa, metafora delle lacerazioni della vita, accompagnandola poi in ospedale. Una circostanza inaspettata, quasi provvidenziale, che consente all’avvocato eremita di ritrovare la pace che credeva smarrita per sempre dopo la perdita della figlia.
Un bello squarcio di speranza dunque che conforta, seppur in un racconto non sempre lineare e omogeneo. Gli sbalzi tra un mondo bucolico di giovani un po’ ingenui e pasticcioni, ma capaci alla fine di produrre un buon vino con i vitigni fatti rivivere, e adulti rancorosi o piegati dal senso di colpa, non inficiano il messaggio di speranza offerto dal film. Se “cinque secondi” apparentemente possono cancellare una vita e rovinarne altre, riaprire gli occhi al bisogno dell’altro permette persino di inventare un nuovo modo di incontrarsi e dialogare.
Solo così l’errore (se c’è stato) non costituisce più una barriera invalicabile, ed è persino possibile un cammino di redenzione. Quello di cui ciascuno di noi ha profondamente bisogno, soprattutto in un mondo sfilacciato come il nostro dove è così facile sbagliare. Infatti, alla fine l’insistente saluto mattutino dal telefono di Adriano ha una risposta: quella di suo figlio.
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