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Home » Politica » CITTADINANZA FACILE/ L’harakiri italiano che può peggiorare col referendum

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CITTADINANZA FACILE/ L’harakiri italiano che può peggiorare col referendum

Arturo Illia
Pubblicato 2 Giugno 2025
Il rilascio del passaporto elettronico (Ansa)

Il rilascio del passaporto elettronico (Ansa)

Un episodio avvenuto a Pescate, paesino in provincia di Lecco, ricorda quanto l'Italia rischi di concedere facilmente la cittadinanza

Mercoledì scorso nel piccolo borgo di Pescate, in provincia di Lecco, è accaduto un fatto che, nella nostra società ormai annichilita dalla fantasia della percezione che ha di fatto rimpiazzato nei chip dei cellulari (vorrei scrivere i nostri cervelli, ma dubito ne possediamo uno) la logica della realtà: un uomo di origini kosovare e residente in Italia da dieci anni si è visto negare la cittadinanza italiana dal Sindaco del luogo per l’incapacità di pronunciare anche una sola parola di italiano durante la cerimonia di giuramento.


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L’episodio ha aperto polemiche anche profonde a livello nazionale, perché il richiedente, oltre alla già citata decennale residenza, aveva tutti i documenti in regola, compresa la certificazione di aver frequentato i corsi di italiano obbligatori, approvata anche dalla Prefettura: ma quando è arrivato il momento di leggere la formula del giuramento, la persona non è riuscita a pronunciare nemmeno una sillaba.


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Sarà stato colto dalla stessa emozione che, nel corso di più di un decennio, ha impedito a molti dei Deputati e Senatori eletti all’estero di pronunciare i loro interventi camuffandoli da felicità, ma usando un italiano davvero impronunciabile che avrebbe fatto girare Dante Alighieri nella tomba?

Il caso comunque solleva, a questo punto, interrogativi inquietanti sui corsi di lingua previsti per l’ottenimento della nostra cittadinanza, oltre a chi deve dimostrare di non avere precedenti penali, di possedere redditi di sostentamento e di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.


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Ricollegandomi all’esempio citato della conoscenza linguistica dei politici sopra citati, viene logico pensare come mai nel circo delle cittadinanze italiane elargite con una facilità mostruosa all’estero a persone che, nella maggior parte dei casi, sono di lontanissime origini (ergo da più di tre generazioni),

non parlano una sola parola della lingua di Dante, non hanno passato nemmeno un minuto della loro vita nel nostro Paese a cui non sono assolutamente interessati, ma tuttora, specie dopo l’emanazione delle restrizioni sulla cittadinanza, ancora reclamano la loro italianità quando non l’abbiano già ottenuta senza minimamente dover passare nessuna prova per averla e spesso ricorrendo a organizzazioni che (è ormai dimostrato) ricorrono a trucchi di vario genere per fornire il loro “prodotto” ai richiedenti, insomma in
questo circo non si apra una discussione seria sul significato della parola “cittadinanza”?

Perché a questo punto il nostro caro concittadino kosovaro rientrerebbe non nell’assurdo, bensì nella normalità dei casi. “Cose da pazzi”, avrebbe detto anni fa il famosissimo Cetto Qualunque, incarnazione ormai non più fantasiosa di una classe politica nella quale sono da lustri scomparsi gli statisti.

Perché questa è l’Italia di oggi: un Paese che non solo ha perso la propria sovranità economica e sociale, ma che ormai è al tramonto anche su quella culturale e di logico amor patrio, al punto da chiedersi il perché commemorare coloro che hanno perso la propria vita per difenderlo quando al giorno d’oggi decisioni di una politica francamente inadatta alle proprie funzioni hanno di fatto cancellato il loro sacrificio.

E si continua in questo harakiri, nonostante le soluzioni per risolverlo siano semplicissime, addirittura proponendo l’ottenimento della cittadinanza dopo soli cinque anni di residenza nel nostro Paese come unico elemento con un referendum che nasconde ancora una volta l’incapacità decisionale di uno Stato dentro lo Stato che bada solo ai propri interessi di casta e che nel corso degli anni ha distrutto quelli dei cittadini italiani.

Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito nel nostro Paese a cambiamenti epocali negativi sia nella salute pubblica (ormai deteriorata dall’eccellenza che era) nella pubblica istruzione (dove ormai il 47% degli alunni delle scuole superiori non riesce a capire, secondo i dati del summit sull’economia di Trento, un testo che ha letto) e dove i famosi diritti sul lavoro, che tanto vengono sbandierati ora da organizzazioni sindacali che pubblicizzano il referendum dell’8 e 9 giugno, sono scomparsi, ridotti e accompagnati sia da salari che da contratti tra i peggiori dell’Ue

proprio grazie al contributo non solo di una politica che si autodefinisce “progressista”, ma che ormai è puro stile radical chic e sta sullo stesso livello di una destra che si guarda bene, pure lei, di attuarle, ma allo stesso tempo proprio da sindacati che all’epoca non fecero nulla per opporsi ai tagli poi realizzati.

Un falso, quindi, proprio come le cittadinanze a gogò che da anni vengono elargite e che permettono a presunti connazionali di influenzare, attraverso il loro voto all’estero, la vita di chi in Italia ci vive veramente, specie a causa di giravolte politiche provocate da sedicenti movimenti di “italiani” all’estero che per ben due volte hanno influenzato Governi del nostro Paese.

E questo fa capire benissimo come mai certi schieramenti politici abbiano a cuore la cittadinanza facile, visto che la soluzione (adottata anche da altri Paesi europei nei confronti del voto estero, ma in modo differente) dell’ottenimento del 3% dei voti per accedere al Parlamento non viene mai proposta nelle sessioni elettorali al di fuori dei nostri confini: preferendo continuare con brogli ormai documentati da anni, oltre a proporre il solo requisito dei 5 anni di residenza per la cittadinanza. Povera Italia…

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