Una “piccola storia” viene definita sulle pagine di Avvenire la vicenda di un ambulante di colore gettato nella Darsena milanese, nel luogo noto per la movida notturna, da due giovani. Non si sono registrati morti né feriti, non urli, minacce, ambulanze… e neppure una denuncia. Il racconto dell’accaduto, parso forse mediaticamente irrilevante, esce vivido dalla penna di Marina Corradi che disegna la scena: due italiani sui 25 anni, probabilmente sotto l’effetto di alcol o droghe, hanno aggredito un immigrato, uno dei tanti che girano nei locali vendendo rose per sopravvivere, e lo hanno gettato nel Naviglio. Un gioco, una bravata accompagnata da parole di scherno e disprezzo.
Se non fossero intervenuti in suo soccorso alcuni passanti, sarebbe certamente annegato il malcapitato proveniente dal Bangladesh che stava rientrando dal “lavoro” con le mani ancora ingombre di rose. La storia finisce qui: il fioraio fortunatamente tratto in salvo, si è dileguato velocemente tornando nella clandestinità per evitare di incorrere in guai peggiori.
Ma la “piccola storia”, una volta sfuggita alla totale indifferenza, lascia un’inquietudine cupa come il gorgo insidioso delle acque che, solo casualmente, non hanno inghiottito una vita umana che dai pochi connotati affiorati è apparsa perdente, sventurata, invisibile e inconsistente, senza un nome, senza un documento e senza dignità.
Un brivido di orrore, scorrendo le sequenze veloci dei fatti, costringe a fermare lo sguardo sull’ingiustizia assurda, su un male dilagante, incomprensibile, persino banale nella sua insensatezza. E le domande incalzano. Ma perché? Chi sono questi “eroi nostrani” che infieriscono vigliaccamente su una preda facile, indifesa, già segnata dal destino, calpestata da un’emarginazione senza riscatto?
Come figurarseli questi mostri? Mentre rabbia e sgomento gonfiano il cuore, l’immaginazione corre sull’onda di tanti fatti di cronaca, di dati e analisi che spesso danno contorni a fenomeni inquietanti: il pensiero va ai Neet, come vengono definiti i giovani dai 15 ai 29 anni candidati al degrado personale in quanto privi di impegno sia negli studi che nel lavoro; o al bullismo di quanti cercano una propria identità agendo angherie e violenze su persone fragili, o ancora alle “dipendenze” da sostanze o comportamenti che irretiscono esistenze annoiate, disperatamente sole e randagie.
Si tratta di un disadattamento sfuggente, non sempre catalogabile, ma tutt’altro che irrilevante: tornando ai Neet, di recente anche da queste colonne, è stato segnalato che il fenomeno riguarda il 12,6 per cento dei giovani europei e oltre il 22 per cento dei giovani italiani, quasi uno su quattro (uno su sei-sette in Lombardia, uno ogni tre al Sud. Totale molto oltre i 2 milioni).
E mentre l’indignazione per l’accaduto non si attenua di certo e il giudizio senza appello sull’agire ignobile dei due venticinquenni persiste inflessibile, si fa strada l’urgenza di scavare nel groviglio dell’assurdo, di mettere a fuoco un’altra piaga, una altra miseria, un’altra clandestinità. La mancanza di senso, di motivi per uscire dal vuoto e dall’inerzia, forse non è meno amara, meno atroce da sopportare di altre povertà, privazioni, ingiustizie. Impressiona che proprio i giovani, che da sempre rappresentano il vigore, la speranza e il futuro oggi, sia pure in una percentuale, possano essere definiti con un termine che ne nega ogni consistenza: “né , né”, un niente. E questa incongruenza, non può che generare ribellione, insoddisfazione, violenza, disadattamento …
Il nostro mondo produce malessere incrementando in mille modi una disaffezione all’umano, al sentimento più proprio e profondo di ogni essere che può percorrere un cammino esistenziale solo insieme ad altri, che può svilupparsi soltanto appartenendo a qualcuno e fidandosi di chi lo riconosce, lo accompagna e lo guida. E proprio il sentimento dell’essere in relazione, oggi di fatto svilito e negato in nome di un’autonomia, si rivela fondamentale per attraversare l’emergenza educativa che purtroppo, e in molte forme, lancia segnali spaventosi generando irriconoscibili mostri.