All'inizio della stagione turistica estiva ancora non si è riusciti a fare chiarezza completa sulla vicenda delle concessioni balneari
“Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia stesso mare”. Correva l’anno 1963, e Piero Focaccia lanciava uno dei tormentoni che accompagnarono buona parte del decennio estivo-vacanziero. Sono passati sessant’anni e passa, e il motivetto andrebbe ancora benissimo, specie sulle riviere dove le famiglie sono accolte estate dopo estate, i famosi repeat, quelli che rendono felici i prospetti delle prenotazioni dell’hospitality ante data.
Andrebbe, perché in realtà quest’anno anche le spiagge italiane sono impantanate in un’incertezza nociva, che non consente agli imprenditori balneari gli investimenti necessari per mettere a punto le strutture per la nuova stagione.
Si tratta, ancora una volta, del rebus delle concessioni balneari, le autorizzazioni necessarie per l’uso di aree demaniali marittime a scopi turistico-ricreativi. Senza ripercorrere nel dettaglio l’annosa vicenda, basti ricordare che da troppi anni quei benestari venivano rinnovati automaticamente, fino a quando, nel nome della libertà di mercato e della concorrenza, una direttiva europea (la famosa Bolkestein del 2006), e quindi il Consiglio di Stato italiano, hanno imposto uno stop: le concessioni in essere diventavano a scadenza e per le nuove bisognava indire la messa a gara.
Rinvio dopo rinvio, però, si è arrivati a oggi, in un nulla di fatto che aveva indotto gli operatori a credere che la situazione sarebbe rimasta congelata all’esistente sine die (l’Italia conta 26.313 concessioni di cui 15.414 ad uso turistico-ricreativo), visto che l’Italia ha sempre rinviato l’applicazione della direttiva, permettendo ai concessionari esistenti di mantenere il controllo delle spiagge senza passare per una gara pubblica. E invece…
“Dallo scorso settembre 2024 – ricorda Adnkronos – un decreto del Governo prevede che le nuove concessioni durino da 5 a 20 anni, permettendo l’ammortamento degli investimenti. Introduce anche criteri di valutazione che favoriscono chi ha gestito una concessione nei cinque anni precedenti. Il provvedimento varato dal governo prevede che le attuali concessioni balneari vengano prorogate fino al 30 settembre 2027, con l’obbligo di avviare le gare pubbliche entro giugno dello stesso anno. Secondo il testo, in presenza di ‘ragioni oggettive’, come contenziosi o difficoltà legate alle procedure, le autorità competenti potranno ulteriormente prorogare le concessioni, ma non oltre il 31 marzo 2028”.
Adesso il problema è la mancanza di chiarezza su quelle gare pubbliche, necessarie per stabilire chi gestirà cosa. Non ci sono ancora indicazioni chiare che consentano alle amministrazioni locali di svolgere le procedure di riscossione del canone demaniale 2025, di determinare la cauzione a garanzia delle obbligazioni riportate nelle licenze, di conoscere le modalità di determinazione dell’importo dello stesso canone demaniale da richiedere ai concessionari.
Così anche i repeat non sono più sicuri di ritrovare “stessa spiaggia stesso mare”, ma forse nuovi stabilimenti con nuovi gestori (dove le gare saranno svolte), oppure i vecchi gestori alle prese con un’impasse che paralizza manutenzioni, investimenti, qualità di gestione.
Tra ricorsi e controricorsi, la conclusione è che a oggi le gare sono praticamente ferme: sono meno di trenta i Comuni coinvolti che hanno avviato le procedure per le nuove concessioni balneari. Ma è ormai evidente che non c’è scampo: Il Consiglio di Stato ha appena sentenziato come infondata la tesi (avanzata da un imprenditore ligure contro il suo Comune) secondo cui i gestori di concessioni balneari rilasciate prima dell’entrata in vigore della direttiva Bolkestein avrebbero diritto a mantenere i loro titoli per l’eternità. La messa all’incanto delle concessioni, insomma, s’ha da fare, però nessuno ancora dice esattamente come…
Nel frattempo, la Commissione petizioni del Parlamento europeo ha accolto la tesi presentata da un’italiana (Coralba Bonazza, residente a Comacchio, Ferrara), che sostiene che le aree costiere protette sarebbero incompatibili con la direttiva Bolkestein. La petizione riguarda la presunta incompatibilità tra l’applicazione della direttiva Bolkestein e la tutela ambientale delle aree costiere ricadenti nei siti Natura 2000, reti europee destinate alla conservazione della biodiversità.
“La questione tocca decine di migliaia di concessioni demaniali – precisa MondoBalneare -, spesso collocate in habitat marini protetti, e apre un fronte inedito di riflessione tra tutela ambientale, economia locale e sovranità territoriale. La Commissione europea ha ufficialmente aperto un’indagine preliminare sulla questione e la petizione è stata trasmessa anche alla Commissione ambiente e alla Commissione per il mercato interno del Parlamento europeo”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
