Oggi il consenso informato è un principio chiave dell’etica del diritto che abbraccia ogni ambito della nostra vita. Soprattutto, è sempre revocabile
Al centro del dibattito politico in questi giorni non c’è solo la legge di bilancio; c’è anche, e soprattutto, il consenso informato. Sia che si parli di fine vita o di eutanasia, di educazione affettiva o di violenza sessuale, sempre di consenso informato stiamo parlando.
Chiave indispensabile per affrontare molte questioni, per misurarsi con problemi antichi e nuovi, spesso inediti, il consenso informato è il principio fondamentale dell’etica e del diritto che abbraccia ogni ambito della nostra vita.
E non potrebbe essere diversamente, dal momento che riguarda il diritto della persona a essere informata in modo completo e comprensibile prima di prendere una decisione sul proprio corpo, la propria intimità affettiva e i propri valori: il nucleo profondo di ciò che siamo e sentiamo, di ciò che pensiamo e vogliamo.
È un diritto fondamentale, perché spetta ad ognuno di noi decidere liberamente se accettare o rifiutare una proposta, dopo aver ricevuto informazioni chiare e comprensibili. Ma è anche un processo di comunicazione, in cui vanno illustrati gli aspetti essenziali della decisione da prendere, comprese le alternative, i benefici attesi, i rischi, le complicanze e le conseguenze di un eventuale rifiuto.
Per questo deve essere un atto libero, volontario, senza pressioni interne ed esterne, consapevole, attuale e revocabile in qualsiasi momento. Una persona dovrebbe fermarsi e chiedersi: “Questo atto riguarda il mio corpo, la mia sicurezza, la mia privacy, la mia identità o le mie convinzioni?” Se la risposta è sì, serve consenso informato.
Sanità
In capo sanitario il consenso informato è il processo con cui un medico fornisce al paziente informazioni chiare riguardo a diagnosi, benefici, rischi e alternative di un trattamento o esame e si impegna a rispettare la sua volontà. Il consenso informato tutela infatti l’autonomia del paziente, la sua libertà di scelta, il diritto a non subire cure non desiderate.
In Italia l’obbligo del consenso informato è sancito in modo chiaro e completo dalla legge 22 dicembre 2017, n. 219 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (DAT)”.
La legge afferma che il paziente ha diritto a ricevere informazioni complete, aggiornate e comprensibili per essere coinvolto nelle decisioni che riguardano la propria salute. Quando ad un paziente viene proposto un atto sanitario che comporta rischi, effetti collaterali o scelte alternative, serve il consenso informato, che è molto più di una semplice firma su un modulo.
È un processo di comunicazione tra medico e paziente che garantisce rispetto, autonomia e sicurezza; tutela l’autonomia del paziente e ha un grande valore sia giuridico che etico: nessuno può essere curato senza il proprio consenso.
Giustizia
Ma anche quando si parla di relazioni sessuali il consenso informato è essenziale se non si vuole scivolare in una vera e propria forma di violenza sessuale, uno stupro. Il consenso esprime una volontà libera e consapevole in chi vuole partecipare attivamente al rapporto di coppia. Per questo non deve subire pressioni, manipolazioni, ricatti, minacce, paura, abuso di posizione o dipendenza.
Deve essere esplicito: il silenzio, la paura, la sorpresa o la mancanza di resistenza non sono consenso. Deve essere chiaro, riconoscibile, manifestato con parole o comportamenti inequivocabili.
Consapevole: la persona deve essere in grado di capire cosa sta accadendo, con chi sta, in quali condizioni, per cui non c’è consenso quando la persona è sotto effetto di droghe o alcol al punto da non capire cosa succede; oppure è addormentata, incosciente, incapace di intendere e volere. O ancora è semplicemente minorenne.

Il consenso deve essere reversibile e può cambiare in qualsiasi momento: anche se una persona ha detto di sì prima, può dire no durante l’atto o interromperlo. Deve anche essere specifico: dire sì a un’attività sessuale non significa dire sì a tutte le altre; per esempio, accettare un bacio non equivale ad accettare un rapporto completo.
Oggi il concetto di consenso è fondamentale per definire la violenza sessuale perché, senza consenso, si tratta di stupro. Non importa se non ci sono lesioni, violenza fisica o grida: se manca il consenso, si tratta di violenza sessuale.
Le legislazioni più moderne e le linee guida internazionali si stanno spostando dal concetto di “costrizione” a quello di assenza di consenso. La presenza di un consenso esplicito aiuta anche a riconoscere forme di abuso “invisibili” come coercizione emotiva o psicologica, rapporti ottenuti con pressione o manipolazioni, magari approfittandosi di persone vulnerabili.
Già la Convenzione di Istanbul aveva messo al centro di ogni rapporto il consenso riconoscendo che, anche senza violenza fisica, un atto può essere violenza se manca il consenso. La Convenzione di Istanbul obbliga gli Stati aderenti a prevedere nelle loro leggi penali che l’assenza di consenso sia sufficiente per configurare un reato sessuale.
Educazione
Anche in campo educativo il consenso informato sta guadagnando spazio e visibilità, soprattutto nel campo dell’educazione sessuale, come prevede proprio in questi giorni il ddl Valditara che richiede un consenso scritto, esplicito e concreto da parte dei genitori per ogni attività scolastica, curricolare o extracurricolare, che tratti temi legati alla sessualità, all’affettività o all’identità di genere.
Si tratta di un consenso preventivo dei genitori, che dovranno essere informati prima su quali temi saranno affrontati durante le lezioni, su quali materiali didattici verranno utilizzati e su chi terrà i corsi, soprattutto se si tratta di relatori esterni. Le scuole dal canto loro dovranno inserire queste attività nel Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) e comunicare alle famiglie le iniziative. Qualora i genitori non dessero il loro consenso, agli studenti dovrà essere garantita un’attività formativa alternativa. Il ministro Valditara ha illustrato la misura richiamando l’articolo 30 della Costituzione: “spetta ai genitori il diritto-dovere di educare i figli”.
Si parla di “consenso informato” e non solo di autorizzazione, perché non è sufficiente un permesso generico: i genitori devono essere correttamente e dettagliatamente informati su cosa verrà insegnato: contenuti, modalità, materiali, prima di dare il loro consenso. In questo modo le famiglie potranno “valutare con correttezza” se le attività proposte sono coerenti con i loro valori e le loro convinzioni educative o culturali.
Conclusione
Una persona deve imparare a riconoscere le situazioni in cui serve il suo consenso informato quando capisce che la decisione riguarda corpo, identità, salute, intimità, privacy o valori. Le tre situazioni in cui si parla di consenso informato, sanità, giustizia (violenza sessuale) e formazione scolastica, appartengono a contesti molto diversi, ma hanno un nucleo comune: riguardano tutte il rispetto dell’autonomia della persona e la possibilità di compiere scelte libere, consapevoli e non forzate rispetto al proprio corpo, alla propria integrità e alla propria sfera valoriale.
È un principio di autodeterminazione declinato in tre ambiti diversi. In tutti i casi il consenso informato serve anche a compensare situazioni in cui una parte ha più potere dell’altra: medico vs paziente (competenza tecnica), aggressore vs vittima (forza, coercizione, dipendenza), istituzione scolastica vs famiglia/minori (autorità educativa). Riequilibra la relazione, ma proprio per questo deve avere accesso a informazioni comprensibili, verificate e complete e, vale la pena ricordarlo, deve essere sempre revocabile.
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