L'ascolto attivo è una competenza significativa in diversi ambiti aziendali e può essere determinante sul lavoro

Ascoltare è forse una delle attività mentali più semplici e al tempo stesso complesse in dotazione all’essere umano. L’ascolto è un’azione naturale, un comportamento innato quanto parlare o camminare. Ma ascoltare davvero non significa solo tacere mentre l’altro parla. La modalità, l’intenzione, l’approccio con cui si ascolta può fare un’incredibile differenza nella percezione di chi si esprime.



Immaginiamo di trovarci in una sala riunioni. Nella nostra mente frulla una proposta che riteniamo particolarmente brillante. Attendiamo il nostro turno di parola mentre i nostri colleghi esprimono a loro volta le proprie idee. Numeri, grafici, immagini. Tra il fiume di parole captiamo qualcosa di interessante, ma nulla in confronto a ciò che non vediamo l’ora di esporre.



Se tecnicamente siamo in una condizione di ascolto, possiamo altrettanto affermare di star ascoltando veramente?

La natura egocentrica che caratterizza la specie umana si somma all’aggravante di vivere nell’epoca storica dell’information overload, in cui il sovraccarico di stimoli abbassa notevolmente la soglia dell’attenzione. Ne risulta che, quando ascoltiamo (o tentiamo di farlo), per il 75% del tempo siamo preoccupati, distratti o disattenti (P. Hunsaker, T. Alessandra. The New Art of Managing People. 2008). Ecco, dunque, che ascoltare si rivela una pratica molto più complessa del previsto.



A livello linguistico è possibile ricorrere a due termini che descrivono una sottile ma cruciale differenza: ascoltare e sentire. Chi “sente” si trova in uno stato passivo: percepisce fisiologicamente i suoni in maniera involontaria e senza sforzo, ma la sua attenzione è in realtà focalizzata altrove. Al contrario, chi “ascolta” è in modalità attiva e dunque interpreta il suono in maniera intenzionale, concentrandosi su quel determinato stimolo e producendo così un maggiore sforzo cognitivo.

L’ascolto attivo è una competenza significativa in diversi ambiti aziendali. Se in campo commerciale aiuta a personalizzare l’offerta in base alle reali esigenze del cliente e a costruire un rapporto di fiducia, all’interno delle organizzazioni permette di creare un ambiente di lavoro più sano. Uno studio di Harvard Business Review rivela che i collaboratori che si sentono ascoltati maturano un livello di coinvolgimento più elevato, migliorando così la qualità delle loro performance.

Ecco dunque alcune indicazioni per migliorare consapevolmente le proprie doti di ascoltatori.

Un primo segnale per dimostrare ascolto consiste nel porre domande. Una ricerca svolta dall’American Psychological Association suggerisce che le persone con opinioni opposte sono più propense a cambiare idea quando si sentono ascoltate attraverso domande aperte.

Domandare ha un duplice vantaggio: aumenta nell’altro la percezione di essere ascoltato e porta chi formula la domanda a prestare maggiore attenzione alla risposta. Ciò accade soprattutto a fronte dell’utilizzo di domande aperte. Una domanda chiusa, infatti, potrebbe indirizzare l’interlocutore verso la risposta che vorremmo sentirci dare, impedendo una reale comprensione del suo pensiero. Immaginando un venditore di automobili, una domanda come “Le piace quest’auto?” è dunque da sostituire con “Cosa le piace di quest’auto?“.

Un errore frequente, specialmente nel campo della consulenza, consiste nell’anticipare la soluzione al cliente prima ancora di aver compreso appieno la situazione attuale. Anche in questo caso occorre attendere prima di intervenire, ponendo domande volte a indagare lo stato dell’arte e i tentativi non andati a buon fine attuati in passato.

Ciò consente di non fornire una soluzione preconfezionata, ma di co-progettarla insieme al cliente. Un approccio che porterà all’elaborazione di un output non solo qualitativamente migliore, ma anche più apprezzato dalla persona che, avendo contribuito alla sua creazione, svilupperà una sorta di attaccamento emotivo.

Fonte: Pexels.com

Quando ascoltiamo attivamente mettiamo in atto, spesso inconsciamente, alcuni comportamenti non verbali. Alcuni esempi? Orientare il corpo verso l’interlocutore, mantenere un contatto oculare naturale, annuire, produrre vocalizzi come “mmm”, “uh-huh”. Conoscerli potrebbe risultare utile sia quando siamo noi gli uditori – per rafforzare nell’altro la percezione di essere ascoltato, sia quando siamo noi a parlare – per dedurre se l’uditore stia realmente ascoltando.

Tuttavia, l’analisi del linguaggio del corpo non è sempre un parametro accurato: alcuni studi (H. K. Collins, When listening is spoken. Current Opinion in Psychology, 2022) rivelano che spesso le rappresentazioni disoneste dell’ascolto passano inosservate, mentre le rappresentazioni oneste vengono talvolta scambiate per inganno.

In definitiva, l’ascolto attivo non può passare attraverso la finzione o la messa in atto di tecniche persuasive volte a influenzare la percezione dell’interlocutore, ma deve nascere da un autentico e sincero interessamento verso l’oggetto della conversazione.

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