Nel 2015, con l’ormai noto Jobs Act (D.Lgs. n. 81/2015), il Governo ha tentato di riordinare la disciplina dei contratti di lavoro, cercando di scoraggiare le collaborazioni autonome per favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro di tipo subordinato a “tutele crescenti”. A tal fine, sono stati soppressi i contratti a progetto (co.co.pro) e, attraverso l’introduzione dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, è stata estesa la disciplina prevista per i rapporti di lavoro subordinato anche “ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro“.
Come accade spesso, però, la realtà corre e il Legislatore la insegue. In particolare, dopo pochi anni dall’entrata in vigore del Jobs Act, in Italia si è affermata l’esigenza di stabilire una regolamentazione lavoristica a tutela dei cosiddetti “rider”, ovvero di quei fattorini che, spesso in sella alla propria bicicletta o al proprio motorino, si occupano di ritirare i beni più disparati dagli esercizi commerciali convenzionati e di consegnarli direttamente nelle case dei consumatori grazie all’utilizzo di una piattaforma digitale dalla quale ricevono tanto le commesse quanto i propri compensi (pensiamo ai vari Glovo, Deliveroo, Uber Eats, Justeat, ecc.).
Nella rincorsa del Legislatore si è poi inserita la Giurisprudenza, e come pure capita spesso quest’ultima è stata più veloce. Così, la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 4 febbraio 2019, al fine di attribuire un’immediata tutela al fenomeno dei rider (in rapida e inesorabile diffusione e che non trovava collocazione nelle tradizionali categorie lavoristiche), ha colmato la lacuna normativa “creando” un terzo genere di rapporto di lavoro (una sorta di “ibrido”), che si verrebbe “a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 e la collaborazione come prevista dall’art. 409, n. 3″ e che si contraddistinguerebbe per l’elemento dell’etero-organizzazione, cioè del potere in capo al committente di “determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi”.
La sentenza della Corte di appello di Torino ha reso il Legislatore più alacre: il 3 settembre 2019 il Governo ha emesso il c.d. Decreto “Salva Imprese” (Decreto Legge n. 101/2019), il quale ha modificato l’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015 estendendo la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai casi in cui “le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.
Senonché, il 23 ottobre 2019, in sede di conversione del Decreto, il Governo giallo-rosso ha inaspettatamente proposto al Parlamento (con un voto di Fiducia) l’approvazione di un “maxi emendamento” che non si è limitato a confermare quanto stabilito dal “Salva Imprese” con riferimento al regime applicabile ai rider, ma ha ulteriormente modificato l’art. 2 del Jobs Act. In particolare, il Governo ha proposto che la disciplina del rapporto di lavoro subordinato debba essere applicata anche a quei rapporti di collaborazione continuativa “prevalentemente” (non più, quindi, “esclusivamente“) personali, le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente (sono state quindi soppresse le parole “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro“).
Tale modifica, approvata dal Senato della Repubblica e confermata dalla Camera, potrebbe avere degli effetti dirompenti. Cerchiamo sinteticamente di capire perché.
I primi commenti sul nuovo intervento legislativo si sono divisi tra chi ha interpretato le predette modifiche come un sostanziale ampliamento delle maglie della collaborazione autonoma (ad esempio, il quotidiano Italia Oggi ha parlato di “super co.co.co.“) e chi invece (come ad esempio il prof. Ichino) ha ritenuto che ad allargarsi siano invece le maglie della subordinazione. Una tale confusione è ingenerata dalla genericità del nuovo testo legislativo, che impedisce di comprendere adeguatamente quale sia il tipo di ‘”organizzazione” che il committente/datore di lavoro dovrebbe “imporre” al lavoratore perché si ricada nel regime della subordinazione.
In attesa del necessario intervento interpretativo della giurisprudenza, pare più fondata l’opinione di chi sostiene che, non essendo prevista dalla legge nessuna espressione volta a precisare i contorni della “organizzazione” dell’attività da parte del datore di lavoro, il rischio che si corre è quello di ridurre significativamente l’ambito di praticabilità della collaborazione autonoma (ferma l’esenzione dal segnalato rischio per quelle “categorie” che la legge espressamente qualifica come “eccezioni” alla regola, ovvero le professioni che richiedono l’iscrizione a un albo, le collaborazioni disciplinate dagli accordi sindacali, le attività di amministratore, ecc.). E ciò vieppiù considerando che con il nuovo testo normativo la disciplina del rapporto di lavoro subordinato verrà applicata anche a tutti i rapporti di collaborazione continuativa “prevalentemente” (e non solo più “esclusivamente“) personali.
Così, a titolo esemplificativo, se prima delle recentissime modifiche un soggetto dotato di una minima organizzazione embrionale di mezzi e/o di persone (ad esempio, una microimpresa di servizi) poteva certamente essere considerato un collaboratore autonomo (perché per ravvisare una subordinazione era necessaria una attività esclusivamente personale), a seguito delle nuove modifiche, l’attività di quello stesso soggetto potrebbe essere ricompresa nell’ambito della subordinazione (con tutte le conseguenze del caso per il datore di lavoro che si valesse di quel soggetto).
Nella probabile situazione di incertezza che si verrà a creare a seguito dell’approvazione delle modifiche del Jobs Act, vi è l’ulteriore concreto rischio che un imprenditore prudente e avveduto non sia particolarmente propenso a instaurare rapporti di collaborazione autonoma in tutti quei casi in cui – sino al giorno prima delle modifiche – vi avrebbe fatto ricorso, con buona pace di quella flessibilità richiesta oggi dal mercato del lavoro e di chi nel proprio piccolo vuole avviare una propria impresa.