CORONAVIRUS/ Salute e lavoro, la fase 2 che serve ai giovani italiani
Attraverso una ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo ci si rende conto a cosa deve puntare la fase 2 post-emergenza coronavirus

Da quando è iniziata l’emergenza sanitaria si è assistito a una crescente attenzione verso i dati statistici. Gli statistici stessi si sono, come mai in passato, confrontati con l’attualità. Hanno risposto a una chiamata interna che li ha portati a uscire dalle mura accademiche e fornire le proprie competenze. La grande maggioranza degli sforzi prodotti è stata diretta ad alimentare una spasmodica corsa al modello meglio in grado di interpolare i dati ufficiali (su contagi, ricoveri in terapia intensiva, decessi).
L’obiettivo, come ben spiegato su queste pagine dal collega Giuseppe Arbia, è quello di “poter disporre di modelli affidabili di previsione della data nella quale il numero di contagi approssimerà finalmente lo zero e quando possiamo immaginare un graduale ritorno alla normalità”. Non mancano difficoltà e insidie, a partire dai limiti stessi dei dati ufficiali (ma anche per le diverse condizioni di diffusione dell’epidemia nelle varie aree del territorio italiano).
In attesa che i modelli (con il benestare però dei virologi ed epidemiologi) ci dicano quando il numero dei contagi può essere considerato basso abbastanza per considerarci fuori dall’emergenza, dobbiamo però anche chiederci quale Paese ci ritroveremo nella Fase 2 e come aiutarlo a ripartire in modo solido.
L’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo da ben prima dell’emergenza sanitaria si occupa di analizzare come cambia il sistema di rischi e opportunità all’interno del quale i giovani vivono e producono le proprie scelte (formative, lavorative, di vita). Dopo aver descritto l’impatto della recessione economica (che ha toccato le punte più elevate nel 2012 e 2013, proprio quando è nato l’Osservatorio) e aver analizzato le condizioni e le aspettative nella fase di uscita da tale crisi, si torna ora a render conto di come viene affrontata una nuova crisi che potrebbe avere conseguenze ancora più gravi. Lo si è fatto attraverso un’indagine condotta tra fine marzo e inizio aprile 2020, su un campione di 2.000 persone, rappresentativo dei residenti in Italia tra i 20 e i 34 anni (e campioni di 1.000 coetanei spagnoli, francesi, tedeschi e britannici).
Analizzare l’impatto sui giovani e le loro aspettative è particolarmente importante: da un lato sono la componente che rischia di subire le maggiori ricadute sui percorsi formativi e professionali, d’altro lato è attraverso i loro occhi che la realtà che cambia trasforma modi di pensare e di agire che plasmano la società futura. A differenza di sondaggi occasionali, il sistema di rilevazioni continuo e consolidato dell’Osservatorio giovani (realizzato con la partnership tecnica di Ipsos) consente di inserire i risultati relativi all’impatto della pandemia di Covid-19 e le aspettative sul dopo, all’interno di un quadro dinamico coerente e articolato (che si integra con approfondimenti qualitativi e social media data). I dati, inoltre, non sono limitati alla situazione italiana, ma sono stati raccolti in un’ottica comparativa internazionale.
Presentiamo qui i primi risultati descrittivi, punto di partenza di analisi multivariate più approfondite. La maggioranza degli intervistati ritiene che il rischio di pandemie sia destinato ad aumentare (concorda il 52,5%, in disaccordo solo il 12,6%, il resto in posizione più incerta). Più in generale, assieme ai timori sull’ambiente si unisce ora quello di esposizione a diffusioni di virus aggressivi. Se gli intervistati riconoscono che la crisi ha poco inciso sulla loro salute attuale, alta è però la loro preoccupazione sulla possibilità che la salute possa essere in futuro messa più a rischio da altri virus (lo teme il 53% degli intervistati). Ancor più temono l’impatto negativo sul lavoro: i rischi su questo fronte sono aumentati per il 56,7% degli intervistati.
Già prima di questa crisi sanitaria l’Italia presentava il record di under 35 nella condizione di Neet (giovani che non studiano e non lavorano) in Europa, oltre a un sottoutilizzo del capitale umano anche dei giovani ben preparati (si veda anche quanto scritto qui). Ora queste fragilità rischiano di amplificarsi. Tra i Neet intervistati, il 41% dice di aver posticipato la ricerca di lavoro e il 33,8% di averla abbandonata (con il rischio di scivolare nella spirale dello scoraggiamento e del disimpegno).
Rispetto ai coetanei europei, i giovani italiani, nel complesso, percepiscono più a rischio i loro progetti di vita: oltre il 60% ritiene che l’emergenza sanitaria avrà un impatto negativo sui piani per il futuro, seguiti a breve distanza dai giovani spagnoli, mentre si collocano circa quindici punti sotto i francesi e venti i tedeschi.
Se con la Fase 2 non si fornirà alle nuove generazioni il segnale che il Paese riparte con loro, valorizzando le loro competenze e sostenendo la loro vitalità, difficilmente riusciremo a mettere basi solide di un nuovo processo di crescita.
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