La Corte dei Conti ha fermato il Ponte sullo Stretto per presunte irregolarità nell’iter. Meloni: ennesima invadenza della giurisdizione nella politica
Battuta d’arresto per l’iter del Ponte sullo Stretto di Messina. Ieri la Corte dei conti ha evitato di registrare la delibera del Cipess che impegna 13,5 miliardi per avviare la costruzione dell’opera. Il Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile), organo tecnico del governo che decide sulle principali politiche economiche e investimenti infrastrutturali, aveva approvato il 6 agosto scorso il progetto definitivo, che dunque, dopo la registrazione spettante alla Corte dei conti, sarebbe potuto entrare nella fase operativa.
Il motivo dell’altolà si conoscerà fra trenta giorni. Ma il governo non intende fermare la procedura: il ministro competente, Matteo Salvini, ha spiegato ieri alla Camera che il termine per la registrazione è fissato per il 7 novembre e non sarà modificato.
Entro quella data, il Consiglio dei ministri adotterà una delibera per trasferire l’esame del provvedimento alle sezioni riunite della Corte dei conti, che a quel punto avrebbero due opzioni: registrare l’atto oppure registrarlo con riserva, comunicandone alle Camere i motivi. Lo stop dei magistrati contabili non è dunque uno stop definitivo, ma consente comunque ai giornali antigovernativi di scrivere “bocciato il ponte sullo Stretto”, come titolava ieri pomeriggio il sito internet di Repubblica.
Pesanti le parole con cui Giorgia Meloni, intervenuta subito a sostegno del titolare delle Infrastrutture, ha commentato la decisione della magistratura contabile: la mancata registrazione della delibera Cipess è “l’ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del governo e del Parlamento.
Sul piano tecnico, i ministeri interessati e la presidenza del Consiglio hanno fornito puntuale risposta a tutti i rilievi formulati”. La premier parla di “capziosità”: “Una delle censure ha riguardato l’avvenuta trasmissione di atti voluminosi con link, come se i giudici contabili ignorassero l’esistenza dei computer”.
Ma la Meloni dà anche una lettura politica della decisione, e non solo tecnica, quando ricorda che sono vicine all’approvazione “la riforma costituzionale della giustizia e la riforma della Corte dei conti, entrambe in discussione al Senato”. Esse “rappresentano la risposta più adeguata a una intollerabile invadenza, che non fermerà l’azione di governo, sostenuta dal Parlamento”. Sulla Corte incombe una riforma firmata da Tommaso Foti (Fratelli d’Italia) prima di diventare ministro degli Affari europei.
Interpretazione fondata? È un fatto che i giudici, rispetto al potere politico, si siano guadagnati un enorme spazio che arriva fino in Europa: basti pensare agli effetti che hanno avuto le bocciature dei provvedimenti sui centri di accoglienza in Albania.
Ed è un altro fatto che l’incombere delle due riforme sta agitando il mondo giudiziario, visto il consenso trasversale che stanno raccogliendo le decisioni del governo. Aggiungiamo che la magistratura contabile è tra gli apparati dello Stato più restii ai cambiamenti, una resistenza che accomuna tutti gli apparati di vertice, e potrebbe darsi che essa rifletta le “preoccupazioni” di questi ambienti, compreso il Colle.
Solo il prosieguo della vicenda ci dirà se a sfavore del governo abbia giocato la precipitazione. È chiaro che questo esecutivo non completerà il ponte, ma deve almeno posare la prima pietra. E la fretta di giungere a quella cerimonia potrebbe indurre qualche inciampo.
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